Capi di Stato e ministri degli Esteri hanno preso parte a Brasilia, lo scorso 1° gennaio, alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Washington vi ha mandato il Segretario di Stato Mike Pompeo. Roma, per parte sua, ha mandato a Brasilia il ministro dell’agricoltura Gianfranco Centinaio, una figura, certo, rispettabilissima, ma anche, forse, la meno appropriata per una circostanza del genere.
Ignoro quali considerazioni abbiano indotto l’Esecutivo a tenere nell’occasione un basso profilo, rinunciando ad occupare, nell’arena della capitale brasiliana, un posto di maggiore visibilità, come, invece, era lecito aspettarsi, e come gli stessi brasiliani, probabilmente, si attendevano.
Ha pesato probabilmente la nomea di un Bolsonaro politicamente scorretto e, anzi, scorrettissimo – basti pensare, ad esempio, alle sue simpatie per il generale Augusto Pinochet -, ma è pur vero però che molti brasiliani lo hanno eletto alla presidenza nella speranza che egli riesca a debellare la corruzione e la violenza dilaganti in quel Paese. La sua retorica populista, per quanto sicuramente eccesiva e, a tratti, perfino bizzarra, è pur sempre parente, mi sembra, di quella che anche noi, su una scala più contenuta, stiamo sperimentando in Italia.
Per altro, non è inutile ricordare quanto il Brasile sia importante per noi. Il Paese sudamericano ospita infatti la seconda maggiore collettività di origine italiana dell’America latina. Per non parlare degli scambi commerciali.
C’è ora il rischio che le autorità di Brasilia leggano nella nostra condotta un segno di disattenzione, se non, forse, una presa di distanza, un’impressione, questa, che converrebbe dissipare.
Francesco Barbaro