Nuove intercettazioni: “La mucca se non mangia non può essere munta”
Associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori. Sono questi i principali reati contestati ai 44 arrestati a Roma, Rieti, Frosinone, L’Aquila, Catania ed Enna, in quella che ormai è stata definita la “seconda puntata” di Mafia Capitale. Gli sviluppi delle indagini condotte dai carabinieri nei confronti del gruppo mafioso facente capo a Massimo Carminati hanno confermato l’esistenza di una struttura mafiosa operante a Roma, che faceva da cerniera tra ambiti criminali ed esponenti degli ambienti politici, amministrativi ed imprenditoriali locali.
Un sodalizio, politicamente trasversale, interessato alla gestione dei centri di accoglienza per gli immigrati e ai consistenti finanziamenti pubblici connessi. In manette è finito il consigliere comunale di Forza Italia, Luca Gramazio, al quale – secondo il gip Flavia Costantini – sono state versate mazzette per oltre 100mila euro dal gruppo guidato da Massimo Carminati. Gramazio, figlio di Domenico detto “il pinguino”, pittoresco esponente di An, svolgeva un ruolo di collegamento tra l’organizzazione da un lato e la politica e le istituzioni dall’altro, “ponendo al servizio della stessa il suo munus publicum e il suo ruolo politico”. In particolare, il consigliere regionale avrebbe avuto “98mila euro in contanti in tre tranche”; ma anche “15mila euro con bonifico per finanziamento al comitato Gramazio”.
Inoltre anche per “l’assunzione di 10 persone, cui veniva garantito nell’interesse di Gramazio uno stipendio; la promessa di pagamento di un debito per spese di tipografia”. A carico di Gramazio jr è ipotizzata “l’aggravante di aver agito al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso indicata al capo 23”. Agli arresti anche due esponenti del Pd, l’ex presidente del consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti e l’ex assessore alla casa del Campidoglio, Daniele Ozzimo, che si erano dimessi dagli incarichi in seguito alla prima ondata di indagini. Nei guai anche i consiglieri dell’aula Giulio Cesare, Massimo Caprari (Centro Democratico) e Giordano Tredicine (Forza Italia); e l’ex presidente del X municipio, quello di Ostia, Andrea Tassone (Pd), accusato di aver intascato tangenti per 30 mila euro.
“La mucca se non mangia non può essere munta”
Era questa la metafora che Salvatore Buzzi ripeteva nelle intercettazioni che sono alla base del secondo capitolo dell’inchiesta Mafia Capitale. Secondo la ricostruzione del Gip Flavia Costantini, uno dei maggiori protagonisti della vicenda giudiziaria e presidente della Cooperativa 29 Giugno, viene contattato da un collaboratore dell’allora presidente del Consiglio Comunale Mirko Coratti per chiedergli un’assunzione di favore presso la sua struttura. È qui che Buzzi ricorda che “la mucca deve mangiare”, ricevendo come risposta: “Ahò. Questa metafora io glielo dico sempre al mio amico, mi dice: ‘non mi rompere il c…. perché se questa è la metafora lui ha già, già fatto, quindi non mi rompere…'”. Nelle carte dell’inchiesta compare anche la cooperativa di lavoro “La Cascina”, vicina al mondo ciellino romano, il cui amministratore delegato Domenico Cammissa è stato messo ai domiciliari, mentre in carcere sono finiti Francesco Ferrara vice presidente del cda della Cascina; arresti domiciliati anche per Salvatore Menolascina , amministratore delegato del consorzio Gruppo La Cascina e componente del cda della cooperativa e Carmelo Parabita, componente del cda della La Cascina Global Services e componente del cda della Domus Caritatis – Società cooperativa sociale. Secondo i giudici, la cooperativa versava circa 20 mila euro al mese a Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto del sindaco Veltroni, coinvolto anche nella prima inchiesta. Chiamato in causa anche Gianni Alemanno, che secondo i verbali avrebbe chiesto per le elezioni al parlamento europeo del maggio 2014 l’appoggio a Salvatore Buzzi e quest’ultimo si sarebbe mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi. “Mafia Capitale è riuscita ad infiltrarsi profondamente nel tessuto della pubblica amministrazione capitolina tanto da poter controllare le attività economiche, al fine di favorire i ‘terminali imprenditoriali’ dell’associazione stessa, fra i quali, Salvatore Buzzi per quanto attiene le cooperative”, ha scritto il gip Costantini nell’ordinanza che ha gettato nuova luce sulle attività della criminalità organizzata a Roma. Sul nuovo terremoto di Mafia capitale è intervenuto il premier Matteo Renzi: “Un Paese solido è quello che combatte la corruzione con grande decisione e grande forza, come stiamo facendo in Italia, mandando chi ruba in galera”.
“Ovviamente con la presunzione di innocenza, ma quando arriverà la sentenza definitiva è giusto che chi ha violato la regole del gioco paghi tutto, fino in fondo e fino all’ultimo centesimo”, ha aggiunto. Va all’attacco il Movimento 5 stelle: “Ho una brutta notizia per Renzi: è finita l’epoca del ‘non sono stato io’. È finita l’epoca delle scuse, da quando lui è segretario sono circa 50 gli arrestati e indagati nel Pd”, ha dichiarato il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. “Ma soprattutto – ha aggiunto – li ricandidano, li proteggono, Marino ha preso 60mila voti da gente arrestata o indagata per Mafia capitale. De Luca ha preso i voti di Barbato sotto indagine per compravendita di voti. E ricordiamoci di Tassone, che Orfini ha difeso in conferenza stampa. E ricordiamoci di altri personaggi come Faraone, nella segreteria del Pd, che è indagato”.
Dimissioni del sindaco Marino?
Il sindaco di Roma Ignazio Marino non intende dimettersi dopo la nuova ondata di arresti nell’ambito di Mafia Capitale, che ha trascinato nella bufera anche il Pd, e annuncia che lascerà solo nel 2023, al termine del suo secondo mandato. “Lasciare il Campidoglio? Lo farò nel 2023, alla fine del mio secondo mandato”, ha detto Marino in un’intervista al “Messaggero”. Per il numero uno del Campidoglio “questa inchiesta è frutto anche del nostro lavoro di cambiamento. Il mio primo atto da sindaco è stato chiedere al ministero dell’Economia di poter utilizzare gli ispettori della Guardia di finanza in Campidoglio. E già lì in molti storsero il naso”. A chi gli chiede di lasciare la poltrona di sindaco risponde così: “se a chiedermi riflessioni fosse papa Francesco, mi fermerei a pensare seriamente alle mie azioni. Ma se le dimissioni me le propone Giorgia Meloni, leader di un partito che ha chiesto voti alla ‘ndrangheta, rispondo che io voglio spianare come un rullo compressore tutte le persone che negli ultimi anni si sono messe sotto i piedi i diritti e i soldi dei romani”.
Askanews