Il giovane boss che ha scalato i vertici della mafia palermitana si nascondeva in un appartamento spoglio a pochi metri dal palazzo di giustizia di Palermo; il vecchio capomafia, negli anni ‘80 re del narcotraffico, passeggiava in via Marghera, a Milano. A distanza di pochi minuti sono stati arrestati entrambi.
Tutti e due erano nella lista dei 30 ricercati più pericolosi. Gianni Nicchi, 28 anni, detto ‘u picciotteddu’ (il ragazzino n.d.r.), capo di Cosa Nostra palermitana, ha tentato di scappare da un cortile interno. Tanino Fidanzati, 74 anni, ha cercato di farsi passare per un altro, dando agli agenti una falsa carta di identità.
Il giovane, vedendo la polizia, non ha pronunciato una parola. Lo storico boss, invece, quando ha capito di non avere scampo, ha sorriso e ha chiesto ai poliziotti una sigaretta.
Due colpi importanti messi a segno dalla polizia che, con due blitz quasi simultanei, ha posto fine alla latitanza del boss emergente e del vecchio padrino.
Nicchi, due condanne per associazione mafiosa ed estorsione a 14 e 6 anni, figlio di Luigi, che sconta una condanna all’ergastolo per omicidio, è ritenuto il capo di Cosa Nostra palermitana.
Dopo l’arresto del boss Mimmo Raccuglia, finito in cella 20 giorni fa, era diventato la guida indiscussa dell’organizzazione e il collettore del pizzo di mezza città. Ricercato dal 2006, quando, con l’operazione denominata Gotha la polizia azzerò i vertici delle cosche cittadine, Nicchi era riuscito ad estendere il controllo sulla parte orientale di Palermo. Pupillo di Nino Rotolo, capomandamento del quartiere Pagliarelli, era stato condannato a morte dai capimafia di San Lorenzo che non gradivano la sua alleanza con il boss loro nemico. Il progetto di morte doveva compiersi a Milano, città in cui ‘u picciotteddu’ ha trascorso parte della sua latitanza.
Nicchi, amante del lusso e delle donne – ha una compagna da cui ha avuto due figli, uno in latitanza – viveva in un tugurio del centro. “Un covo provvisorio”, dice il capo della catturandi di Palermo Mario Bignone. Nel nascondiglio, in cui si trovava con due giovanissimi favoreggiatori, era giunto solo il giorno prima dell’arresto. Probabilmente era stato portato nell’appartamento per incontrare qualcuno.
Gli agenti hanno avuto la certezza che fosse in casa: a portare gli inquirenti dal boss sarebbe stato l’arrivo dei viveri recapitati da un vivandiere che era tenuto sotto controllo.
L’appartamento, solitamente disabitato perché la proprietaria è morta mesi fa, era già stato messo sotto osservazione dalla polizia. L’arrivo delle provviste nella casa ha confermato i sospetti e ha fatto scattare l’operazione.
Tanino Fidanzati, al momento della cattura era invece in compagnia del cognato. Condannato a 12 anni nel primo maxi processo a Cosa Nostra, è il boss storico del quartiere Arenella. Il suo nome si legge in inchieste su traffici di droga di diverse procure italiane e nei dossier della Dea americana. È il mafioso che portò fiumi e fiumi di cocaina sulla piazza milanese.
E il suo arresto nel capoluogo lombardo prova che il Tanino si sentiva ancora a casa propria. Di lui si persero le tracce nell’ottobre 2008, dopo la morte di Giovanni Bucaro, uno spacciatore ucciso per strada a Palermo da cinque uomini che lo massacrarono con pugni, calci e spranghe mentre Fidanzati, che aveva commissionato l’aggressione, guardava poco distante.
Ricercato per l’assassinio, poco dopo venne raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare per mafia nell’ambito dell’operazione Perseo.
“La mafia palermitana è allo sbando”, ha commentato il procuratore di Palermo Francesco Messineo; mentre il questore del capoluogo siciliano, Alessandro Marangoni, ha messo in luce come la decapitazione dei vertici e dei quadri di Cosa Nostra crei il rischio di una “camorrizzazione” cioè che piccole organizzazioni criminali ingaggino una guerra per il controllo della città.
Lunghissima la lista dei politici che hanno espresso le loro congratulazioni alla polizia. Per il Ministro dell’Interno Roberto Maroni, ora l’obiettivo è la cattura dell’ultimo grosso latitante di Cosa Nostra, il boss trapanese Matteo Messina Denaro.