Un autunno incerto. Pieno di insidie, sul piano economico come su quello della pace e del rapporto tra popoli e nazioni in tante parti del mondo: le devastazioni in medio oriente, giardino di casa nostra, luogo da dove è partito quel grande messaggio di amore e fratellanza oscurato dalla violenza e dalle brutalità agghiaccianti dell’oggi. E l’Ucraina, immiserita in una guerra fratricida tra popoli che hanno convissuto in pace e fratellanza per tanti secoli, vittima del gioco perverso per la supremazia globale tra le grandi potenze, Stati Uniti e Russia, con la Cina saggiamente in attesa dell’esito degli eventi. Al di là dell’atlantico si è pensato che la fine della guerra fredda, dopo la caduta del muro di Berlino, fosse stata di fatto l’accettazione di una sconfitta storica e definitiva della Russia post sovietica. A Mosca, dopo un ventennio di riflessione e di ricostruzione, morale e civile, della società, non la pensano, evidentemente, allo stesso modo.
Nel contesto brilla, con l’eccezione tedesca, l’assenza dell’Europa. Non facciamoci accecare dalle apparenze: le sanzioni annunciate e parzialmente eseguite; le grida russofobe dei capi baltici e polacchi dalle menti oscurate per la passata esperienza storica e umana; l’apparente bellicismo di Cameron, che ha ben altre gatte da pelare in casa propria, almeno così la pensano, a Edimburgo e dintorni, gli scozzesi indipendentisti al suono delle leggendarie cornamuse. In realtà, l’Europa, immiserita da una crisi economica, sociale e morale, con qualche eccezione, naturalmente, segue gli avvenimenti da comprimaria. Pensa alle materie prime indispensabili al funzionamento dell’apparato industriale, ai prodotti invenduti nei magazzini, conseguenza della reazione Russa alle sanzioni, ai tanti progetti di cooperazione e sviluppo sottoscritti e oramai carta straccia nel fragore delle armi del Donbass. Fossero governati, gli stati europei, da statisti illuminati, ricchi di una visione strategica degli avvenimenti, capaci di ideare un futuro possibile, il tutto sarebbe ancora nelle nostre mani.
Non è così, purtroppo. Ognuno guarda all’est pensando di farla franca. Come quel presidente francese, Francois Hollande, per intenderci, che un giorno sì e l’altro no, minaccia tuoni e fulmini contro lo Zar del Cremlino. Ma non rinuncia ai contratti vantaggiosi: le forniture ( provvisoriamente sospese) di sofisticate navi da guerra porta elicotteri al prezzo di miliardi di Euro. Che fare?, direbbe un rivoluzionario del novecento. Per contare, occorre costruire l’Europa: un senso di appartenenza, una politica estera e di difesa comune di cui mancano persino i primi vagiti. Al contrario, imperversano ovunque, Italia in primis, gli irresponsabili che perseguono una politica di disfacimento del poco costruito: l’uscita dall’Euro, il ristabilimento delle frontiere e dei dazi per proteggere i nostri prodotti dalla concorrenza straniera, la chiusura agli stranieri, e ad ogni intervento umanitario: Mare Nostrum. Il deputato europeo Matteo Salvini, nuovo capo della lega, ne è il profeta. Presenzia ad ogni programma, mattutino o serale che sia, per propagare il verbo. Per la verità, sempre aggiornato in corso d’opera. Dal secessionismo al federalismo fiscale. Dalla padania libera con le ampolle, agli sporchi negri che invadono il nostro territorio portando malattie e caos. C’è sempre qualcuno da odiare: che sia italiano del sud, oppressore del nord delle alpi, o disperato fuggito dal terrore delle armi e dall’odio fratricida. Nelle pause, il nostro profeta è in bella compagnia. Trova il tempo per la visita ad un autentico democratico, amato e stimato dal suo popolo, il sanguinario dittatore di Pionjiang, a cui gli studi giovanili in Svizzera a poco sono serviti se non ad apprendere la cultura del bel vivere per se stesso accanto ai turpi scherani da cui si è circondato.
Poveri noi! Per la verità, la Confederazione Elvetica, il luogo del nostro prolungato accampamento, non va poi così male. Anzi. Il post referendum di febbraio contro la libertà di circolazione è stato affrontato con i tempi della tradizione Svizzera: si apre la riflessione sulle conseguenze; si cercano i contatti giusti a Bruxelles; si ipotizzano soluzioni temporanee e i necessari compromessi. Così si farà dopo la certa bocciatura popolare referendaria per l’introduzione di un servizio sanitario pubblico comune. Tutti problemi di interesse anche per la nostra comunità italofona in terra elvetica.
Da nuovo presidente della delegazione italiana dell’interparlamentare italo svizzera cercherò di dare un contributo positivo alla risoluzione del contenzioso tra i due paesi amici e vicini. La questione fiscale, innanzitutto, con le tante incomprensioni e i prolungati attriti. Il problema dei frontalieri: dei loro diritti molto spesso negati, ( sfruttamento e abbassamento dei salari) che hanno provocato, soprattutto nel vicino Canton Ticino, reazioni, presso la mano d’opera locale al limite della xenofobia; Il tema legato alle comunicazioni e ai trasporti, soprattutto per quanto riguarda l’Italia, che vanno adeguati all’altezza degli straordinari lavori di perforazione in atto; il contributo, della Svizzera e nostro, al successo dell’esposizione universale del 2015 a Milano. Ci verrebbe da dire: auguri a tutti e buon lavoro.