In questi anni il crooner-soul man catanese ha inanellato successi, si è concesso collaborazioni importanti, ha frequentato palcoscenici di grande visibilità come Sanremo. Mario Biondi è diventato in un tempo relativamente breve uno degli artisti italiani più popolari anche all’estero. Biondi torna adesso pochi mesi dopo il suo ultimo album, “Brasil”, dedicato alla grande musica popolare brasiliana, sui palcoscenici europei. Il 2 novembre appuntamento a Zurigo.
Una voce calda, profonda, sensuale, eppure limpida e sicura: Mario Biondi, all’anagrafe Mario Ranno, ha coltivato con cura e pazienza la sua passione musicale, a partire dagli ascolti fatti già in tenerissima età accanto al padre cantante, Stefano Biondi, in ricordo del quale Mario ha assunto l’attuale nome d’arte.
Più che un disco, quella di “Brasil” è un’esperienza di vita che ti ha portato a Rio De Janeiro per lunghi periodi. Com’è andata?
Ho potuto collaborare con produttori fantastici come Mario Caldato e Kassin e da loro ho imparato moltissimo.
Da dove nasce questa passione per la musica brasiliana?
Trovo che ci sia un’assonanza tra la mia Sicilia e il Brasile facendo entrambi parte del Sud del mondo. Io sono nato sotto un vulcano, in un’isola vicino all’Africa e in una città come Catania popolata da persone estremamente solari e con un’energia vitale incredibile e molto simile a quella universalmente nota dei brasiliani.
Da un punto di vista musicale, poi, sono cresciuto con la musica brasiliana, con la loro cultura che negli anni ’70, rigettata dalla politica del Paese, ha trovato rifugio in Europa. Chico Buarque e Toquinho, ad esempio, vivevano in Italia. Ma in realtà il primo musicista legato alla musica brasiliana che mi ha colpito è un americano di Milwaukee. Mi riferisco ad Al Jarreau.
Ma poi alla fine che ci facevi a Sanremo?
Non l’ho usato come vetrina. Semplicemente avevo voglia di presentare la mia canzone cantata finalmente in italiano e di eseguirla con una grande orchestra. Insomma, nessun intento commerciale anche perché l’arte non è commerciale. E io con la mia musica sono un’eccezione perché sono quanto di più artisticamente lontano da ciò che funziona ma per fortuna riesco a vendere lo stesso i miei dischi.
In questo album canti in italiano, inglese, francese, portoghese. Come mai?
Mi sento come un bambino che gira il mondo affamato di vita. Cerco di fare bene, di dare il meglio di me. Mi piace sperimentare e mettermi in gioco. E così anche se in francese so giusto dire “Bonjour” e poco altro, ho cercato di misurarmi con questa lingua così musicale. Idem per il portoghese.
C’è qualcuno dei tuoi otto figli che sta seguendo le orme paterne?
In linea di massima cantano e suonano tutti. Il più grande che ha 21 anni suona la batteria, strimpella la chitarra e canta. E le due figlie probabilmente me le porterò in tour per fare le coriste perché cantano. Certo, poi oltre alla musica, in tempi di adolescenza bisogna affrontare anche le ribellioni. Un po’ ti amano, un po’ non ti sopportano. E viceversa.
Dopo tantissime date in Italia, tutte sold out, Mario Biondi calcherà i palchi d’Europa: canterà, tra l’altro, a Vienna, Belgrado, Zagabria, Kiev, Londra Manchester, Glasgow e il 2 novembre al Teatro Gessnerallee di Zurigo, in occasione del Festival Jazz No Jazz.
Bruno Indelicato