È il titolo del libro dello storico Toni Ricciardi, dell’Università di Ginevra, scritto in occasione del 50° anniversario della tragedia di Mattmark. Le celebrazioni ufficiali della ricorrenza si sono svolte a Briga e a Saas-Almagell, lo scorso 29 e 30 agosto, nel Cantone del Vallese, dove fu costruita la più grande diga di terra e pietra dell’Europa: 120 mt. di altezza, 780 mt. di lunghezza, per un volume di 10.500.000 metri cubi. La diga si trova a 2120 mt di altezza s.l.m. sotto il ghiacciaio dell’Allalin. Il bacino creato dallo sbarramento, il Mattmarksee ha un volume massimo di 101 milioni di metri cubi, una lunghezza di 3 km e un’altitudine massima di 2197 mt s.l.m. La caduta d’acqua, utilizzata dalla centrale idroelettrica: Kraftwerke Mattmark AG, di Saas-Grund, può arrivare a 150 metri cubi d’acqua al secondo.
La CAVES
Confederazione delle Associazioni Venete in Svizzera – ha deciso, nel suo annuale Convegno, di promuovere una Conferenza aperta a tutta la comunità. Due relatori, il Prof. Domenico Mesiano che illustrerà la mostra fotografica e lo storico Toni Ricciardi che presenterà il suo libro Morire a Mattmark, daranno modo ai convenuti di conoscere e di riflettere sulle cause di quella tragedia che si poteva evitare. L’avvenimento di Mattmark ha una forte analogia con il disastro della diga del Vajont avvenuto il 9 ottobre 1963, dove perirono ben 1917 persone nei comuni di Longarone, Erto e Casso. In ambedue i disastri la sicurezza sul lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori erano considerati aspetti secondari rispetto alla fretta di terminare l’opera per un immediato guadagno. Negli anni sessanta, la Svizzera era in pieno sviluppo economico con una elevata richiesta di energia, a quel tempo l’idroelettrica era l’unica fonte. Bisognava fare presto per soddisfare la domanda. A Mattmark, officine, uffici, mense del cantiere e i dormitori erano stati costruiti sulla traiettoria di caduta del ghiacciaio sospeso. Un rischio enorme; perché le autorità avevano dato i permessi? Le imprese avevano monitorato il ghiacciaio come promesso? Alcuni operai stessi avevano fatto presente il pericolo, il ghiacciaio si muoveva. Gli ingegneri svizzeri rispondevano che tutto era sotto controllo: “non siamo in Italia…”, ricordando il disastro provocato con la diga del Vajont solo due anni prima.
Durante la conferenza verrà proiettato un documentario di 20 minuti che riassume tutta la storia di un disastro annunciato. Ricordiamo inoltre che la mostra fotografica, già esposta a Bruxelles e in una sala del Senato a Roma, sarà visitabile alla Casa d’Italia di Zurigo, a partire dal 30 di ottobre, per tre settimane. A Mattmark perirono 88 operai, di cui 56 italiani. I comuni più colpiti furono: Belluno e San Giovanni in Fiore.
Il valore dell’associazionismo
Come altre associazioni, anche la CAVES sta portando a termine un progetto per un cambio non solo generazionale, ma anche culturale nel suo direttivo. Il progetto, proposto da un giovane architetto, Paolo Martinazzo, da cinque anni in Svizzera, è stato denominato: “lavori in corso”. Tutto è cambiato rispetto al passato: la società, il lavoro, i bisogni della gente e il modo di comunicare. L’associazionismo rimane però sempre un importante valore sociale, nessun mezzo di comunicazione potrà sostituire il rapporto umano delle persone. L’associazionismo ha anche il compito di tenere viva la memoria, perché senza conoscere le proprie radici e la propria storia non si va da nessuna parte. Per questo motivo la prima generazione, con questo Convegno sulla tragedia di Mattmark vuol consegnare un pezzo di storia dell’emigrazione italiana in Svizzera alle nuove generazioni.
Luciano Alban