Barack Obama può cercare un po’ di conforto nella storia. Dopo tutto, ciò che gli è arrivato tra capo e collo, non ha nulla di eccezionale. Il partito che detiene il potere alla Casa Bianca è generalmente sanzionato nelle elezioni di medio termine. E per un congresso ( camera dei rappresentanti e senato) in mano ai repubblicani, il presidente conserva il diritto di veto. Ciò non toglie la gravità di quanto è accaduto: un presidente indebolito, tanto sul piano interno che su quello internazionale. Non penso che i repubblicani abbiano da proporre una seria alternativa a ciò che il presidente Obama sta attuando sul piano internazionale: la lotta al fanatismo del califfato islamico senza un diretto intervento di terra, fatto che troverebbe la contrarietà dell’opinione pubblica americana.
La prima vittima potrebbe essere la politica ambientalista introdotta negli ultimi anni di presidenza democratica. Per i repubblicani, il surriscaldamento della terra è una favola inventata dalla sinistra. Nessun impedimento, quindi, allo sfruttamento del carbone, del petrolio, del gas o alla competitività americana.
Convinti che l’America è l’impero del bene, i repubblicani hanno bisogno di una superpotenza che incarna il male assoluto ( Reagan, nello scontro con i sovietici prima dell’avvento di Gorbaciov) oggi incarnato dall’Iran. I repubblicani faranno di tutto per impedire un accordo sul nucleare e la normalizzazione dei rapporti con la repubblica islamica in piena sintonia con la posizione israeliana di Benjamin Netanyahu. E avrebbe torto Putin a gioire della sconfitta di Obama. I repubblicani sono, notoriamente, più sanzionatori nei confronti di Mosca. La lotta di Barack mi ricorda un leggendario personaggio del passato.
Un aitante uomo nero che corre nella strada. Si chiama ancora Cassius Clay. La gloria atletica del giovane campione olimpico (Roma, 1960) che si appresta a divenire campione del mondo dei pesi massimi professionisti. Siamo negli Stati Uniti nel 1964. Stanno cadendo i muri della xenofobia e del razzismo; il Rhythm and blues ha conquistato i bianchi, I neri organizzano manifestazioni di massa negli stati del sud sfidando le pallottole, i cannoni ad acqua e i cani poliziotti per aver il diritto di sedersi davanti nei bus. I grandi artisti dell’eroismo immaginario compongono inni all’altezza delle speranze di una grande svolta della storia americana.
Una euforia, se pensiamo al corso dei secoli, che non durerà che un istante, perendo con l’assassinio di Martin Luther King e i moti dei ghetti neri del 1968. È il momento ove Cassius Clay diviene Muhammad Ali, la figura simbolo della Nazione dell’Islam, la setta diretta da Elijah, culminata con il pubblico rifiuto della chiamata alle armi. Accompagno le tribolazioni del grande campione costretto all’inattività. La licenza professionale gli è stata ritirata dopo il rifiuto alla coscrizione militare. È un periodo oscuro. Ali, avendo rotto i rapporti con il leggendario combattente della causa dei neri, Malcom x, poi assassinato, si presume, da componenti della sua stessa setta, si ritrova nella pelle di un Giuda. Nel frattempo, tuttavia, la corte suprema degli stati Uniti annulla la condanna e ridà al grande boxeur la possibilità di ritornare sul ring. Si riapre un nuovo capitolo che culminerà con la vittoria su Foreman a Kinshasa, nell’Africa profonda, davanti ad una folla in delirio, urlante “Ali bumaye” (Ali, uccidilo, in lingua mangala) Ali, nonostante la vittoria per KO all’ottava ripresa, non è che l’immagine, alla moviola, dell’artista del quadrato che sconfisse Sonny Liston dieci anni prima. Pur tuttavia, è di nuovo campione del mondo, e gli Stati Uniti, anche grazie alla sua lotta, sono sul punto di abbandonare il Vietnam. È il canto del cigno prima della devastante malattia ( il Parkinson) che lo porterà verso il tramonto.
Il suo paese, l’America, riprenderà il cammino imperiale di sempre. Illusione o realtà. In fondo, il presidente e il grande atleta, hanno tante cose in comune. Hanno pensato e pensano agli Stati Uniti come un paese normale nel contesto dei popoli e delle nazioni. Ambedue sconfitti da quel sogno americano di considerarsi “l’impero del bene” destinato a guidare il mondo. Oggi è così. Domani, chissà? Ci sarà sempre qualcuno che, presto o tardi, rialzerà la bandiera di Martin Luther King, Muhammad Ali, Barack Obama per accompagnare quel grande paese nella sfida per costruire un mondo migliore.