Vendola scioglie la riserva e si candida a premier del centrosinistra allontanando Casini da Bersani
E’ bastata la timida (“solo per necessità”) apertura di Monti al Monti bis e già subito dopo l’intervista di Montezemolo al Corriere c’è stata la ressa a formare una lista civica per offrire l’incarico a Monti dopo le elezioni del 2013, senza che lo stesso premier si candidi alle elezioni in quanto è già senatore a vita. Si assiste al paradosso secondo cui uno che non si candida sarà nominato (o comunque proposto) presidente del Consiglio, mentre chi si candida e prenderà probabilmente più voti (Renzi o Bersani) dovrà cedere il passo a Monti che ha dichiarato: “Non ho un piano politico”.
Già da quel poco che abbiamo detto emergono una serie di perplessità. Intendiamoci: se dopo le elezioni – e meglio sarebbe prima – si dicesse che i partiti non sono all’altezza di far uscire non solo dalla crisi economica, ma soprattutto dal pantano in cui in questi ultimi decenni si sono tutti cacciati con responsabilità incredibili, dal governo o dall’opposizione, a far affondare le finanze dello Stato con sperperi e ruberie diffuse in ogni regione, in ogni città, in ogni istituzione, amministrazione, banche, enti, imprese, beh, allora sarebbe un atto di ragionevolezza, di serietà e di lungimiranza affidare di nuovo a Monti la guida del governo sorretto da un’ampia maggioranza per fare le riforme che nessuno da solo riesce fare e per rimettere a posto il libro dei conti e delle regole. Così, purtroppo non sembra essere.
Dicevamo, dunque, che subito dopo la timida apertura di monti, sono saltati sul suo carro Fini e Casini, il gatto e la volpe della politica italiana, i quali hanno avuto l’abilità di nascondere il loro vuoto di idee e di proposte dietro il nome di Monti. La stessa cosa hanno fatto Montezemolo, che lancia il sasso e ritira la mano, come ha ben detto Luca Ricolfi su La Stampa, e Oscar Giannino, che ha promosso l’associazione “Fermare il declino”. Ne è venuta fuori la proposta di una lista di “moderati” che vuole fare campagna elettorale per rimettere Monti alla guida del governo dopo le elezioni.
Su quale programma, non si sa, visto che Monti stesso ha dichiarato che non ha un “piano politico” e che un programma politico con punti ben precisi non sono stati indicati né da Fini e né da Casini, i quali, evidentemente, pensano di cavalcare l’ipotesi Monti per allargare il loro consenso elettorale e poi, evidentemente, mollarlo per raccoglierne i frutti elettorali. Se il programma della lista pro Monti di Fini e Casini è il rigore, dovrebbero spiegare agli italiani che anche loro sono la casta e che hanno creato per la loro parte il debito accumulato in quarant’anni di politica.
Se l’intento di Casini era anche quello di imbarcare il Pd di Bersani nella lista pro Monti, ha sbagliato i calcoli, sia perché Bersani si è subito dichiarato contrario ad un Monti bis, sia perché a stoppare Casini è intervenuto Vendola, il quale ha sciolto la riserva e si è candidato alle primarie del Pd allargate, a quanto pare, ad altri esponenti del centrosinistra che formeranno la coalizione per governare l’Italia.
Apriamo una breve parentesi per dire che a nostro avviso si tratta di un pasticcio all’italiana. Prima i candidati e poi le regole, ancora da stabilire; si fanno le primarie senza sapere quale sarà la legge elettorale; si fanno le primarie col rischio che vinca uno della minoranza (Vendola o Tabacci) che costringerà il partito di maggioranza ad appoggiarlo senza essersi messi prima d’accordo su un programma compatibile. Chiusa la parentesi.
Tornando alle alleanze, notiamo che già tra Casini e Vendola erano volate parole pesanti, con l’uno che escludeva l’altro e viceversa. Ora, con l’appoggio di Fini e Casini al Monti bis e con la candidatura di Vendola a premier del centrosinistra, le strade dell’alleanza Casini-Bersani sono tornate a dividersi, paradossalmente riaprendo lo spiraglio di un’alleanza, all’insegna del Monti bis, di Casini, Pdl senza Berlusconi (che farebbe un passo indietro definitivo) e forse la Lega. L’euforia del grande centro è stata raffreddata da Monti stesso, il quale è tornato a puntualizzare che un suo ritorno è solo ipotetico, “solo per necessità”, quindi non è disponibile ad una maggioranza di parte, di per sé votata al fallimento dati i tanti galli del pollaio dell’area dei moderati.
Berlusconi, fiutato il rifiuto e la perdita di consenso al Pdl, è tornato sulla sua idea di mandare il Pdl in soffitta e di lanciare un nuovo partito sul modello americano, snello organizzativamente e rinnovato negli uomini e nel programma, che nel corso di questi anni non è riuscito a realizzare, magari federandosi con quel che resta del Pdl stesso o con gli altri gruppi, recuperando l’alleanza su basi nuove con la lega di Maroni.
Come vedete, si parla d schemi, di alleanze, di formule, ma nulla del programma politico da attuare, di una nuova idea di società e di patto con i cittadini.
Si comprende l’amarezza del capo dello Stato, che ha lanciato l’ennesimo monito: “C’è un acuto bisogno di una ripresa di slancio ideale e di un senso morale”, Napolitano ha senza giri di parole denunciato “l’inadeguatezza del quadro politico a offrire punti di riferimento e prospettive, percorso com’è da spinte centrifughe e tendenze alla frammentazione. Si è perso il senso del bene comune e dell’interesse generale”. Parole sante.