Il cardinale Gianfranco Ravasi il 17 aprile ha celebrato una messa per Antonia Pozzi, poetessa, morta suicida nel 1938 a 26 anni
Il 17 aprile il cardinale di Milano, Gianfranco Ravasi, ha celebrato una messa per la poetessa Antonia Pozzi. Si dirà che è normale che un cardinale celebri una messa per qualcuno, invece, se si considera che Antonia Pozzi morì nel 1938 suicida, la cosa non è poi tanto normale. Forse qualcuno ricorderà che quando morì Piergiorgio Welby, per suicidio, anche se procurato da qualcun altro in quanto lui non poteva metterlo in atto, il parroco rifiutò il funerale e l’allora presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, lo spiegò col fatto che Piergiorgio Welby aveva rifiutato la vita consapevolmente, dunque un funerale sarebbe stata una contraddizione in quanto lui stesso aveva trasgredito, con un atto estremo, il comandamento “non uccidere”. La Chiesa, che si considera depositaria della verità del Vangelo, non ha mai approvato l’aborto, ritenendolo un omicidio; non ha mai, in realtà, approvato il divorzio in quanto nel Vangelo c’è una frase di Gesù che dice: “Non disunire ciò che Dio ha unito”, tranne in caso di adulterio. In base a questa frase, la Chiesa annulla il matrimonio qualora vi siano le condizioni fissate dal diritto canonico e in base a questo principio rifiuta anche la comunione ai divorziati risposati. La Chiesa non ammette nemmeno la contraccezione e ogni tentativo finora fatto non ha avuto nessun ascolto presso il Vaticano; non ammette nemmeno il sacerdozio femminile, in base al principio secondo cui Gesù fece suoi discepoli solo uomini, pur assegnando alle donne compiti di prim’ordine, ad esempio, furono le donne a restare sotto la croce e furono le donne che ebbero il privilegio di essere testimoni della sua resurrezione. Il cardinale Giacomo Biffi, allora vescovo di Bologna, intervistato dalla Tsi, ebbe a dire che, rivoluzionario qual era, se Gesù avesse voluto chiamare al sacerdozio le donne lo avrebbe fatto.
Dunque, i divieti della Chiesa sono tanti, in ossequio alle verità del Vangelo e anche ai propri dogmi, ma sul suicidio, come ha detto Gianfranco Ravasi, un’apertura innegabilmente c’è stata. Qual è la differenza tra il suicidio di Welby e quello di Antonia Pozzi? Costei, poetessa di grande sensibilità, morì a 26 anni il 3 dicembre 1938 ingurgitando dosi eccessive di barbiturici. Ecco come il cardinale Ravasi motiva la celebrazione della messa: “Celebro questa messa perché l’atteggiamento che la Chiesa ha attualmente nei confronti dei suicidi presta molta attenzione alle dimensioni interiori della tragedia. Se l’evento drammatico nasce da una superficialità o è causato dal disprezzo dei valori della vita, allora evidentemente non può essere oggetto di una celebrazione esplicita. Ma la Pozzi rappresenta il caso di una persona dotata di forte spiritualità e di intensa ricerca interiore, travolta da una sensibilità estrema”. Dunque, niente funerali per chi rifiuta consapevolmente la vita, funerali per chi, pur suicidandosi, non l’ha fatto per superficialità o razionalmente. In effetti, le poesie di Antonia Pozzi rivelano una “spiritualità struggente”. Eccone un passaggio: “Ma tutta l’acqua mi fu bevuta, o Dio,/ ed ora dentro il cuore/ ho una caverna vuota/ cieca di te./ Signore, per tutto il mio pianto/ ridammi una stilla di Te,/ ch’io riviva”. Aggiunge il cardinale Ravasi: “Celebrerò la messa anche per essere vicino a tutte quelle persone sensibili che sentono dentro di sé un vuoto e una domanda”. Si potrebbe obiettare che anche Welby era cattolico e chiese i funerali cattolici, che anch’egli era credente e che se desiderò morire era perché era immobilizzato, senza nessuna speranza immobilizzato su un letto, dipendente per ogni cosa da qualcun altro e in preda ad una grande sofferenza. Non solo. Le motivazioni che la Chiesa ha sempre addotto sono che chi ricorre al suicidio razionale, rifiuta la speranza di Dio, il suo comandamento fondamentale, rifiutando in definitiva Dio stesso, quindi il funerale sarebbe inutile. La realtà è che nel caso di Welby tra il desiderio di morte per atroci sofferenze e la morte effettiva è passato del tempo, poco o molto che sia, e quindi Welby ha avuto il tempo – e noi crediamo che l’abbia fatto – di chiedere perdono a Dio per il gesto che aveva fatto e per la sofferenza che l’aveva causato. Dunque, rifiutargli il funerale fu quanto meno superficiale da parte del parroco e dell’allora presidente della Cei
Ma pensiamo anche che la diversa sensibilità dell’arcivescovo di Milano sia dovuta e sia stata possibile proprio grazie a quell’errore.