Questo il tema della Giornata Mondiale degli Oceani 2016: eppure sui fondali marini ci sono tonnellate di rifiuti
In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani, celebrata lo scorso 8 Giugno, Oceana, l´organizzazione internazionale per la conservazione degli ecosistemi marini, lancia l´allarme: i fondali oceanici sono sempre piú simili a discariche.
Il focus della giornata di quest’anno è stato l’inquinamento delle acque causato dalla plastica, fattore che ha avuto un forte impatto sia sugli ecosistemi che sulla fauna marina, fino a far parlare di un vero e proprio “oceano di plastica” che soffoca tanto i fondali quanto le nostre coste.
Ce n’è ormai così tanta che alcuni scienziati hanno creato addirittura un neologismo per descrivere una nicchia ecologica: la plastisfera. Secondo una stima delle Nazioni Unite del 2012, sono 46 mila i pezzi di plastica che galleggiano in un chilometro quadrato di mare; ogni anno, stando alle ultime rilevazioni, vengono scaricate in mare più di 8 milioni di tonnellate di plastica, l’equivalente di un camion al minuto e i numeri sono destinati a duplicare nei prossimi vent’anni e a quadruplicare entro il 2050, soffocando i nostri mari con sacchetti e contenitori, che rappresentano, secondo l´Onu il pericolo maggiore. Nonostante le raccomandazioni dei Governi, che premono per sistemi di riciclaggio più efficienti, i dati non sono incoraggianti: solo il 5% della plastica prodotta viene poi riciclata correttamente, il 40% finisce in discarica e un terzo finisce negli ecosistemi sensibili, tra cui gli oceani, tanto da poter ipotizzare che nel 2050 sui fondali ci saranno piú rifiuti che pesci.
“Un oceano pulito significa vivere in un pianeta più sano”: questo il messaggio diffuso dalle Nazioni Unite che ricordano che gli oceani coprono tre quarti della superficie terrestre, garantiscono la sopravvivenza di 3 miliardi di persone e generano circa 3 mila miliardi di dollari all’anno in termini di risorse e industrie, il 5% del Pil globale. Salvaguardare la loro salute è dunque essenziale per assicurare non soltanto la sopravvivenza delle specie che li abitano, ma anche la nostra.
I primi a fare le spese di questa deriva sono gli animali marini, che ingeriscono soprattutto i sacchetti, credendoli prede. Alcuni studi hanno inoltre accertato che, indirettamente, anche noi finiamo per “nutrirci di plastica”, o meglio delle sostanze tossiche che la compongono. I pesci ingeriscono infatti quelli che gli esperti chiamano “coriandoli di plastica” e mangiando le loro carni assimiliamo microframmenti con sostanze tossiche.
Uno studio pubblicato di recente su Science ha permesso di evidenziare che alcune larve, cresciute in un ambiente marino saturo di plastica, hanno iniziato a modificare le proprie abitudini alimentari, preferendo la plastica al plancton. Comportamenti che conducono queste specie alla morte.Un´altra tra le conseguenze più drammatiche dovute all’inquinamento é lo sbiancamento delle barriere coralline, tra cui la Grande barriera australiana, e il cambiamento nella catena ecologica marina. “C’è bisogno di azioni urgenti su scala globale per alleviare gli oceani dalle molte pressioni che devono affrontare e per proteggerli da pericoli futuri”, ha affermato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Anche Papa Francesco ha lanciato un appello per la protezione degli oceani: in un tweet diffuso sul suo profilo @Pontifex in nove lingue, incita a prendersi cura dei nostri oceani “beni comuni globali, essenziali per l’acqua e la varietà di esseri viventi”.