Il barbaro assassinio di Vittorio Arrigoni ad opera di tre salafiti palestinesi legati ad Al Qaeda fanno del giovane italiano un martire, strumentalizzato e strangolato da tre (o forse più) carnefici prepotenti e fanatici, ma si farebbe torto alla realtà dei fatti e alla sua stessa persona, come ha osservato Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, se si nascondesse che Arrigoni era sì un pacifista, ma a modo suo, e che spesso parole ed aggettivi sono usati in modo improprio.
Arrigoni era un pacifista che aveva sposato la causa palestinese in modo totalizzante, ma non desiderava la pace, aveva abbracciato la guerra, altrettanto cieca e totalizzante contro i suoi nemici. Odiava, infatti, Israele e gli israeliani, senza possibilità d’appello. Gli israeliani e gli ebrei erano “demoni sionisti” e i suoi sentimenti non erano astratti, s’indirizzavano contro persone ben precise: contro il presidente israeliano, Shimon Peres, definito un mostro che bruciava “bambini con il fosforo bianco”; contro chiunque difendesse Israele e gli israeliani, al punto che definiva i libri di Yehoshua, Grossman e Oz – ma anche i loro autori – “sporchi di sangue”; contro chi lanciava appelli a favore della liberazione di Shalit, il soldato israeliano sequestrato da anni dai palestinesi di Hamas, dicendo che “intasava l’etere”.
L’odio di Arrigoni era tanto assoluto da fargli minimizzare la portata del male perpetrato nella storia ai danni degli ebrei. Il suo motto era “restiamo umani” e certamente questa saggia espressione è in stridente contraddizione con le sue idee e i suoi sentimenti.
E tuttavia non si può nemmeno passare sotto silenzio gli uomini e i fatti che hanno preceduto e seguito la sua morte, a cominciare dai tre salafiti che hanno ammazzato un giovane che aveva anche i difetti (e chi non ne ha?) sopra ricordati ma che alla causa palestinese aveva dato tutto se stesso. Questi terroristi facenti parte di una “cellula impazzita” di Al Qaeda, che di giorno vestivano le divise di Hamas, da cui erano stipendiati, non hanno nemmeno per un istante preso in considerazione chi avevano di fronte, un giovane loro amico. Amico o non amico, non hanno considerato che di fronte c’era un uomo, in Arrigoni hanno visto solo un numero che andava eliminato perché “straniero” e “infedele” in base alla logica aberrante dell’ideologo di cui loro sono fanatici – l’emiro Abu Valid Al Maqdisi di cui in un primo momento avevano chiesto ad Hamas la liberazione in cambio della vita di Arrigoni – che ha detto che è possibile colpire gli stranieri perché non sono protetti dalla legge islamica e che le loro imprese sono da considerare bottino di guerra. Tutto questo risponde ad una logica aberrante, come aberrante è stato il tentativo di Hamas di dare la colpa del delitto a Israele.
D’altra parte, la solidarietà umana dovuta alla famiglia Arrigoni non può impedire di esprimere sbigottimento per la decisione di far rientrare la salma del giovane facendogli fare un lungo giro per evitare di farlo passare attraverso Israele. È come se si volesse proiettare il suo odio verso Israele oltre la sua morte che, di per sé, dovrebbe cancellare ogni odio. Mancano pochi giorni a Pasqua e non si può non pensare alla figura di quel Gesù di Nazareth che proprio in quella regione e proprio in questi stessi giorni di quasi due millenni fa fu ucciso in croce.
Egli aveva predicato la pace e l’amore tra gli uomini, dicendo che bisogna amare tutti, anche e soprattutto i nemici e coloro che ci fanno del male. Innocente e mite di cuore, tra le sofferenze della morte in croce fisica e spirituale lanciò allora e per i secoli a venire il grido di perdono e di amore verso chi lo aveva condannato e ucciso. Gesù non era un pacifista, era un pacificatore, un operatore di pace, e il suo messaggio è straordinariamente vero e vivo, ma purtroppo per lo più inascoltato.
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