Il “nuovo” clima nei rapporti politici tiene e sembra avere una prospettiva, anche se prevedibilmente nei prossimi tre mesi, quelli che mancano alle elezioni regionali, succederà poco o nulla.
Cominciamo da Bersani che è rientrato dalle vacanze e, in una conferenza stampa, ha aperto al dialogo e sulle riforme precisando che sulla giustizia il Pd non è disposto a scendere a patti sulle norme ad personam.
Tradotto in parole chiare, significa che il dialogo è aperto e che esiste la volontà di fare le riforme insieme, ma nel frattempo, se passa una leggina per mettere il premier al riparo dagli assalti dei pm, trattandosi di un argomento su cui il Pd può fare campagna elettorale, non l’approverà, evidentemente, ma nemmeno sarà un motivo per rompere.
A mostrare che Bersani ci crede in questa prospettiva, lo indicano anche alcuni segnali di presa di distanza da Di Pietro. Il primo è stato quando l’ex pm lo ha stuzzicato sul giustizialismo e Bersani non ha abboccato alla polemica.
Il secondo è stato quando Di Pietro gli ha chiesto chiarezza sulle alleanze e sulla scelta dei candidati alle regionali e Bersani ha tirato per la sua strada, al punto da far dichiarare al presidente dell’Idv che non aveva capito nulla di quello che Bersani gli aveva detto. Il terzo è l’atteggiamento di apertura verso l’Udc di Casini, il quale, inserendosi nel dibattito interno al Pd e nella scelta dei candidati, sta condizionando pesantemente le scelte di Bersani, ciò che ha fatto irritare Di Pietro che ha capito che per lui esiste solo un ruolo marginale ed allora preme sempre di più sull’antiberlusconismo, nel tentativo di erodere l’elettorato del Pd.
Il punto è se la leadership di Bersani terrà e riuscirà a neutralizzare la forza centrifuga rappresentata da vari esponenti del Pd, da Veltroni a Franceschini, oppure se sarà lui a soccombere.
Certo, non sarà facile disarcionarlo dalla guida del Pd, anche se i risultati delle regionali non dovessero essere favorevoli. Troppo poco tempo è passato dalla sua elezione (fine ottobre), per cui non è stato possibile creare le premesse per una svolta elettorale.
Resta il fatto, però, che in caso di sconfitta, gli oppositori interni acquisteranno ancor più potere e avranno la forza di paralizzare l’iniziativa del partito. Un fatto è certo. Come ha osservato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di domenica scorsa, sia nel Pdl che nel Pd esiste un problema di candidati “forestieri”, di candidati, cioè, non espressione diretta del partito e della sua maggioranza, ma piuttosto di formazioni esterne e distinte e talvolta addirittura diverse ed opposte.
Si spiegano così le candidature in Puglia e nel Lazio, condizionate la prima da Casini, che per dare il suo sostegno vorrebbe un candidato Pd come Francesco Boccia, moderato; la seconda condizionata invece dall’iniziativa autonoma della Bonino che si è candidata a nome dei radicali. In Puglia si è scatenata la lotta tra Boccia e Vendola, governatore uscente e ricandidato dal suo partito, Sinistra e Libertà, e da Sergio Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, con cui Vendola negli ultimi tempi ha ricucito la rottura dopo le elezioni del 2008.
Alla fine, il centrosinistra si dividerà su due candidati con la possibilità di perdere anche se con il Pd si schiererà l’Udc di Casini.
Nel Lazio, il sostegno di Bersani a Emma Bonino avrà come conseguenza che l’Udc appoggerà Polverini, candidata del Pdl, e che una frangia del Pd, i teodem, non voterà la candidata (se tale rimarrà) del partito in quanto è ritenuta persona “degna” ma con posizioni distanti sulla famiglia e sui temi etici.
Come si vede, la strada del dialogo di Bersani con il Pdl è costellata da buona volontà ma anche da tante difficoltà.Ritornando al clima “nuovo”, lo si vede anche dalle parole e dagli atteggiamenti del premier, il quale è intenzionato a puntare su Bersani e a fare della “pacificazione” una parola d’ordine nei prossimi mesi. Vanno in questa direzione l’orientamento a fare del “processo breve” – nel passaggio dal Senato alla camera – un provvedimento senza più elementi ad personam, quindi un provvedimento che stabilirà un tetto massimo per la durata di qualsiasi processo, come vuole l’Europa.
Non solo: ha imboccato la strada della legge costituzionale per l’immunità, non solo sua, ma di tutti i parlamentari. Di conseguenza, si ragiona sul Lodo Alfano per via costituzionale o sull’introduzione della vecchia “immunità parlamentare”, svuotata nel 1993.
Dopo il suo rientro ufficiale in attività, Berlusconi si è recato al Quirinale per suggellare il clima nuovo con il Capo dello Stato, annunciandogli sia la volontà di togliere dal processo breve ogni riferimento ai suoi processi, sia di fare le riforme insieme, possibilmente, all’opposizione.
In questa direzione va l’annuncio che il 2010 sarà l’anno delle riforme e quello, impegnativo, ad aggiungere all’elenco (riforme istituzionali e riforma della giustizia) anche quella fiscale, con un accordo con Giulio Tremonti con cui è stato deciso di mettere in piedi una task force per approntare un testo che presupponga “un dibattito ad ampio raggio nelle sedi scientifiche, accademiche, con le parti sociali” e l’ok dell’Europa.
✗[email protected]
Articolo precedente
Prossimo articolo
Ti potrebbe interessare anche...
- Commenti
- Commenti su facebook