Grazie al coraggio delle nuove generazioni si è trovato un modo per non fare morire i paesi rurali abbandonati da anni e sperduti nella natura
L’albergo diffuso è un’impresa ricettiva alberghiera posizionata non in un’unica struttura ma in un centro abitato. È formato da case vicine tra loro – al massimo 200 metri – che hanno una gestione unitaria in grado di soddisfare le esigenze degli ospiti proprio come le location di vacanze tradizionali. Per avere questa denominazione si devono garantire i servizi alberghieri in modo professionale, devono esistere dei servizi comuni come bar o ristorante, le unità abitative devono essere in più edifici separati e preesistenti, devono certificare la presenza di una comunità ospitante viva con cui relazionarsi ed essere posizionati in mezzo alla natura. Per chiarire facciamo un esempio concreto: Belmonte Calabro. È un comune di 2000 abitanti in provincia di Cosenza che domina, dalla sua posizione collinare, un vasto tratto di mar Tirreno. Fu fondato nella seconda metà del duecento e può vantare la vicinanza del Parco Marino Regionale Scogli di Isca e dei monti della catena costiera. Un comune, purtroppo, in cui l’abbandono da parte di giovani è sempre più inesorabile. A cercare di risolvere il problema ci hanno pensato sette amici che sono riusciti a ridar vita al paesello senza bisogno di sostegni pubblici. Le difficoltà iniziali le racconta a Repubblica uno degli ideatori del progetto: il primo step è stato quello di convincere le persone del luogo al valore sociale del progetto presentando un modello di ospitalità nuovo attraverso il recupero di vecchie abitazioni abbandonate. È chiaro che senza il sostegno della comunità è impossibile affrontare un progetto del genere. Successivamente i sette amici hanno fondato un’associazione e poi ristrutturato 14 casette del centro storico (denominate ognuna col proprio nome: U Saliciu, A marina, I gastili…) per trasformarle in un albergo diffuso, riconosciuto dalla Regione Calabria.
Gli artigiani del posto sono stati coinvolti nella ristrutturazione cercando di mantenere le caratteristiche originali e anche l’atmosfera del luogo. Per i turisti sono stati adattati un ristorante comune, un piccolo museo dell’arte della filanda, un negozio di prodotti tipici e anche una vigna e un orto con piante da frutto antiche e non più commercializzate. Il risultato? Positivo visti i turisti provenienti soprattutto dal nord Europa che ritornano anche in altri periodi dell’anno. Giuseppe, uno degli ideatori racconta: “Dopo aver toccato con mano quanto sia complesso riuscire a presentare progetti ed idee se non opportunamente inglobati nel sistema di imprese di volta in volta supportato dai vari organismi di rappresentanza, non volendo cedere alle lusinghe che ci suggerivano di seguire un percorso poco ortodosso fatto di anticamere di politici e compromessi poco onorevoli, abbiamo dunque deciso di chiedere un mutuo trentennale alla banca e di provare a salvare da soli il nostro paese, scrivendo un business plan ed un social plan per fotografare il valore sociale del progetto “EcoBelmonte”. Lontano dalle catene di hotel stereotipate e da luoghi di turismo di massa, potrebbe questo essere il futuro del travel business? Pensando agli innumerevoli centri abiti italiani montani ammutoliti da decenni di abbandono, sinceramente speriamo di sì!
www.ecovacanzebelmonte.it