La Corea del Nord lanciata in una folle corsa alla guerra, per ora a parole ma dal contenuto irresponsabile: “Non potremo garantire la sicurezza dei diplomatici dopo il 10 aprile”
La Corea del Nord dà l’impressione di essere come quei cani rognosi che abbaiano solo perché il leone se ne sta zitto e quieto dentro le sbarre di una gabbia. Fa la voce grossa, insomma, per mascherare la sua debolezza e la sua paura. Lo fa certamente a fini interni, perché il dittatore deve dare in pasto alla popolazione affamata (nel senso letterale della parola) un motivo per non sentirsi inutile. Non potendo ribellarsi (come vorrebbe), la gente fa finta di bere la propaganda del regime, che accusa gli Usa di imperialismo, di volontà di schiavizzare la povera Corea e per rivendicare il ruolo di salvatore della patria contro l’odiato nemico. La Corea del Nord ha iniziato circa tre settimane fa a reiterare con maggiore enfasi le sue ricorrenti minacce, ma allora lo fece per protestare contro le sanzioni Onu, votate anche dalla Russia e dalla Cina, sua tradizionale alleata. Si vede che kim Jong-un è costretto a rilanciare la posta, altrimenti il giocattolo che ha in mano – il potere sui nordcoreani – potrebbe scoppiargli in mano.
Poi, d’accordo, un altro tassello della sua martellante propaganda è la volontà di riunificare le due Coree, ovviamente sotto le insegne del suo potere, cosa di cui i sudcoreani non vogliono sentir parlare. Sono questi i due pilastri della propaganda: un nemico esterno e un nobile (ma solo per lui) ideale: la riunificazione nazionale delle due Coree, divise dalla guerra del 1953.
Dicevamo dell’escalation. A dicembre c’è stato il flop di un missile a lungo raggio che a momenti stava per cadere sui piedi di chi l’aveva lanciato. E’ andato meglio l’esperimento del febbraio scorso, ma aver lanciato un missile e vincere la guerra ce ne corre. Pyongyang vuole diventare un potenza nucleare, ma non risulta che il regime disponga di testate nucleari, al massimo dispone di quelle convenzionali, ma sparare un missile non vuol dire far paura all’avversario, che comunque, ha fatto venire nei paraggi una piccola parte del suo micidiale armamentario. Probabilmente, la Corea del Nord non riuscirà a sparare nemmeno una cannonata senza che sia intercettata alla fonte dagli Usa, che presiedono l’intera zona del Pacifico e che tengono sotto controllo anche il respiro di ognuno dei soldati nordcoreani, che sono un milione e trecentomila, ma in questi casi non è il numero che fa la forza, ma il tipo di armi, i radar, le capacità tecnologiche, tutte cose che non crediamo che in Nord Corea si possano trovare in abbondanza. Certo, i giornali mettono l’accento sul fatto che un missile è stato puntato verso la costa ovest degli Usa, ma bisogna vedere quanta strada riuscirebbe a percorrere prima di inabissarsi in mare. In ogni caso, pare che il dittatore voglia semplicemente compiere un altro esperimento, dopo il successo di febbraio e il fallimento di dicembre e dopo i tanti fallimenti nei mesi e negli anni addietro.
La Casa Bianca ha evitato di rispondere alle provocazioni, anche per non dare importanza ad un dittatore che è più crudele degli altri due che lo hanno preceduto e che erano suo nonno e suo padre, morto un paio di anni fa.
Pyongyang ha bloccato l’accesso al distretto industriale di Kaesong, che è la zona franca delle due Coree: è un po’ come provocare con la certezza di non subire danni. Dicevamo che la Corea del Nord vorrebbe riunificare le due Coree sotto il suo potere, ma vuole soprattutto trattare da pari a pari con gli Usa. Alla fine, le voglie segrete dei dittatori sono quelle di essere riconosciuti, ma non solo gli Usa non abboccano, ma ormai nemmeno più la Russia e la Cina sono disposte a tollerare le provocazioni nella regione, che rischiano di diventare pericolose. Russia e Cina hanno condannato le “azioni e le parole provocatorie” ed hanno sottolineato che il regime “minaccia la pace e la stabilità nella penisola coreana e nella regione”. Insomma, tutti invitano alla calma, solo la Corea del Nord soffia sul fuoco.
Gli Usa, comunque, hanno dato l’impressione di prendere sul serio le provocazioni ed hanno provveduto a spostare aerei e radar a Guam e navi con testate nucleari a difesa del Giappone e dell’Australia, nonché delle Filippine. Insomma, sono pronti ad ogni evenienza. Si è mosso anche Fidel Castro, tradizionale amico di Kim Il-Sung, che ha lanciato un messaggio chiaro al regime: “Evitate la guerra” La guerra, per ora, è a parole, ma il regime ha fatto sapere che “non potremo garantire la sicurezza dei diplomatici dopo il 10 aprile”.