Il Senato con 154 voti a favore, uno contrario, uno astenuto e l’opposizione fuori dall’Aula approva il ddl che rilancia la produzione di energia elettrica dal nucleare
Sommersa dai clamori e dai riflettori del G8, il disegno di legge approvato in via definitiva al Senato sul rilancio del nucleare in Italia sarà destinato ad avere una grande importanza nel futuro dell’approvvigionamento energetico italiano. Come si ricorderà, l’Italia degli anni Sessanta era il terzo produttore al mondo di energia nucleare con 3,9 miliardi di chilowattora.
La prima centrale nucleare nacque a Latina nel 1962, voluta dal fisico Felice Ippolito; l’altra fu quella del Garigliano.
Per la fine degli anni Ottanta erano in programma altre 4 centrali nucleari, una a Montalto di Castro, l’altra a Caorle e altri due siti erano stati individuati nel Salento, in Puglia, e a Trino Vercellese.
Ad interrompere il percorso nucleare in Italia intervenne prima l’incidente di Three Mile Island, negli Stati Uniti, nel 1979, e poi, soprattutto, quello accaduto in Unione Sovietica, a Chernobyl.
L’incidente negli Stati Uniti, in verità, fu poca cosa, sia per le dimensioni del danno, sia per la distanza. In realtà, ad ingigantire l’incidente fu il dibattito ideologico. Gli Usa erano la potenza imperialista, il nucleare richiamava alla mente la bomba atomica, quelle in particolare fatte scoppiare su Nagasaki e Hiroschima nel 1945, dunque l’ondata di proteste studentesche, usate spesso dal partito comunista nostrano in funzione anti governo e anti occidentale, accesero le piazze e soffiarono il vento della paura.
Fu però l’incidente di Chernobyl che fece il resto, sia perchè le distanze erano di molto inferiori, sia perchè la centrale scoppiò provocando danni enormi, sia perchè questi danni furono accresciuti dal tentativo dell’Urss di occultare il disastro, sia, infine, perchè, pur essendo a tecnologia superata, il fatto colpì l’immaginazione collettiva e in modo particolare la paura inconscia di tutti.
In conseguenza dello scoppio della centrale di Chernobyl, l’allora reggente del Psi Claudio Martelli (Craxi era al governo e resterà presidente del Consiglio fino al 1987), fiutando l’aria che tirava tra la gente, raccolse le firme per un referendum che chiedeva di bloccare il nucleare in Italia. Ovviamente, il risultato fu che il 71% della popolazione disse no al nucleare.
Quell’anno, il 1987, fu la data di morte del nucleare in Italia, ma fu anche l’inizio della dipendenza estera del nostro Paese in materia energetica, senza contare che l’energia, da allora, cominciò a costare di più che altrove, mediamente del 30%.
Nel corso degli ultimi vent’anni quella scelta, da tutti ora riconosciuta come dettata dall’emotività, ha gettato l’Italia in una situazione di estrema debolezza.
Innanzitutto perchè ogni volta che si è manifestata una crisi energetica o ogni volta che i prezzi del petrolio sono saliti alle stelle gli italiani sono quelli che ci hanno rimesso di più; in secondo luogo perchè essere estero dipendentie in materia energetica getta l’industria in una condizione di maggiore difficoltà, anche dal punto di vista dei costi; in terzo luogo perchè a meno di 200 chilometri dai confini italiani ci sono circa 30 centrali nucleari, il che vuol dire che in caso di incidenti è come averle in casa nostra.
Tutte queste ragioni, insieme, da un lato, ad alcuni black-out accaduti negli anni scorsi e, dall’altro, alla pressochè totale sicurezza delle centrali di nuova generazione, hanno fatto sì che tra i politici, gli industriali e anche tra la gente comune, avanzasse un diverso atteggiamento nei confronti del nucleare.
Certo, rimane sempre il problema dello stoccaggio delle scorie, ma questa è una difficoltà non insormontabile, sia sul piano tecnologico che scientifico. Negli anni scorsi, perciò, si è ricominciato a parlare di nucleare in Italia, dapprima durante il secondo governo Berlusconi (2001-2006), poi anche durante il governo Prodi (2006-2008), ma il dubbio è stato sciolto l’anno scorso con la presentazione di un disegno di legge ad hoc presentato dall’attuale ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola.
Il provvedimento, formato da 64 articoli, fu approvato dalla Camera il 4 novembre del 2008, modificato il 14 maggio 2009 al Senato e il 1° luglio alla Camera ed approvato definitivamente la settimana scorsa. Siccome non si costruisce una centrale nucleare in poco tempo, entro il 2013 saranno iniziati i cantieri per la costruzione di 4 centrali che dovrebbero entrare in funzione entro il 2020.
Ecco la dichiarazione del ministro Scajola: “Classificheremo i siti per sicurezza e collocazione ideale, l’approccio sarà il confronto e la condivisione.
Abbiamo la disponibilità di enti locali ad accogliere le centrali. Sarà un affare per il Paese e uno ancora più grosso per i territori”.
L’approdo finale sarà il seguente: l’elettricità sarà prodotta per il 50% da fossili (ora l’83%), il 25% da fonti rinnovabili (ora il 18%) e il 25% dall’atomo. Sono insorti i Verdi e Legambiente (follia ambientale ed economica), ma anche il Pd (“facciamo un salto all’indietro di 20 anni con il nucleare insicuro, antieconomico e inquinante”), anche se all’interno di questo partito non poche sono le voci a favore.