Dal 20 dicembre sarà proiettato nella Svizzera Tedesca il film “Ein geliebter feind- Un nemico che ti vuole bene” con protagonista Diego Abatantuono
L’atmosfera di inizio film ricorda lo stile del noir nordico: in una notte di pioggia il professore Stefanelli salva la vita ad un giovane ferito da un’arma da fuoco. In cambio l’uomo colpito, Killer di professione, gli promette, e pretende per sdebitarsi, di trovare e uccidere un nemico, qualunque esso sia, del luminare, innescando una storia tra il drammatico e la commedia alla ricerca soprattutto di una verità sconosciuta al protagonista.
Numeroso il cast di attori di lungo corso che il regista Denis Rabaglia ha diretto: da Diego Abatantuono a Sandra Milo, da Massimo Ghini ad Antonio Catania ma anche giovani artisti come Antonio Folletto già visto nella serie Gomorra.
Denis, il genere di questo film non è associabile ad altri film italiani, non è neanche convenzionale con i soliti temi mafiosi…
Abbiamo voluto fare un film divertente ma che associasse anche un po’ di drammaticità. Il racconto è avvenuto realmente in Georgia ma la mafia in questo caso è stata raccontata con ironia in un dilemma personale che svela il meccanismo mafioso ma con un esito diverso.
Una mafia atipica quindi?
Più che una mafia atipica ci concentriamo su un personaggio, ambiguo, controverso e seduttore, che si dimostrerà non essere quello che ci aspettiamo, stupendo il pubblico.
Diego Abatantuono, attore molto ironico, quanto ha contribuito nello sviluppo della sceneggiatura?
Per lui è stato facile trasformare alcune scene in una commedia vivace grazie alla sua esperienza. Non ha stravolto il copione ma ha saputo aggiungere quella vena comica recitata di cui è maestro. Siamo stati fedeli alla costruzione narrativa ma creando un po’ di leggerezza in più.
Riusciremo a capire alla fine chi è il nemico?
Si, sarà una scoperta introspettiva per un protagonista che non vuole accettare e vedere la realtà per come è veramente. E’ un film di giochi di ruolo con un finale che lascia la possibilità di riflettere, di giudicare i vari personaggi sia nel contesto del film sia nel contesto reale. E’ un tema che ho già sviluppato nel film Azzurro in cui primo attore era Paolo Villaggio.
Il successo del film è dunque il sapersi riconoscere non nella trama ma nell’aspetto intimo di alcuni protagonisti?
Esatto, è tipico del mio modo di lavorare, del mio cinema, andare a svelare quali sono i meccanismi conflittuali personali e famigliari in cui possiamo rivederci. Anche analizzarci, in fondo.
Puoi raccontare ai lettori come si comporta un regista durante la visione della prima? Controlli se in sala si hanno delle reazioni che ti aspetti?
Il film è nato con il dubbio del genere a cui appartiene, non è una commedia ma neanche un dramma. Durante la proiezione a Locarno ero attento a cercare di capire cosa gli spettatori si aspettassero e in quali scene erano più coinvolti sia ridendo o intrigandosi…Avevamo dei punti precisi da verificare anche per mia soddisfazione soprattutto al fatto di portare il pubblico in una determinata direzione.
Nei tuoi film, sia Paolo Villaggio che Abatantuono hanno interpretato dei ruoli con una vena di malinconia…
Si perché, io non essendo italiano, non sono soggetto ad avere un’unica concezione della personalità di questi attori. Non consideravo Paolo Villaggio solo come Fantozzi. Questo mi ha aiutato a far uscire da questi artisti una vena non usuale. E per questo più interessante, a mio avviso.
Gloria Bressan