Italia. Lombardia. Siamo sul lago Maggiore. Terra di artisti. Come Dario Fo, Massimo Boldi, Enzo Jacchetti. E di Renato Pozzetto, uno dei
comici più amati in Italia e all’estero. Sempre uomo di spettacolo. Ma anche imprenditore. Gestisce un albergo e un ristorante, ricercatissimi dal turismo internazionale e gli appassionati di buona cucina: la Locanda Pozzetto, a Laveno Mombello.
Renato, torniamo ai tuoi esordi. Quando hai capito che eri diventato famoso?
Ho iniziato nelle osterie con il mio amico Cochi Ponzoni. Poi Enzo Jannacci, con cui lavoravamo, ebbe una proposta da un locale notturno: era il Derby di Milano. Così è iniziata l’avventura del nostro gruppo di artisti. La RAI nel 1968 ci ingaggiò per la trasmissione “Quelli della domenica”. Avevano programmato 6 puntate: ne registrammo 24. E la gente iniziò a fermarci per strada.
Renato, cosa ha ispirato il tuo genio comico?
Frequentare le persone che mi divertivano. Quando avevo diciott’anni con gli amici del bar avevamo inventato un nostro ufficio immaginario dove facevamo commenti sui clienti. Avevamo anche delle parole particolari: come “cioè”, o “praticamente”. Le ho usate anche nei miei spettacoli perché risaltasse la esagerazione umoristica. Per lavorare dovevamo divertire il pubblico. Così sono nate anche le nostre canzoni “La gallina” o “La canzone intelligente”.
Come hai vissuto il periodo del sessantotto?
In modo del tutto normale. Lavoravo con Jannacci, con Giorgio Gaber, con Dario Fo. Quando è arrivato il Sessantotto noi eravamo già da quattro anni nel mondo del cabaret. Passavano le giornate ad inventarci nuove idee. Eravamo così. Il cabaret era la nostra vita. Era un mondo modesto, senza il lusso delle scenografie teatrali. Nel cabaret c’era solo una pedana, un pianoforte. Lo spettacolo andava inventato. Nessuno si illudeva di avere successo.
Vi accorgevate che la società attorno a voi stava cambiando?
A noi bastava che il pubblico venisse a vederci e si divertisse. Certo: ci accorgevamo che il locale veniva ingrandito. Dalle cinquanta persone dei nostri esordi, il locale arrivò ad ospitarne più di duecento. A un certo punto poi la gente iniziò a prenotare, addirittura con un mese di anticipo. Ma la nostra vita continuava a scorrere in modo normale, come sempre. Anche in RAI è accaduto lo stesso. Con il tempo ci rendemmo conto che la nostra carriera stava lentamente andando avanti. E così mi sono trovato ad essere chiamato anche per girare dei film.
Come sei passato dai locali di periferia alla Rai di Roma?
Ci venivano a vedere gli autori televisivi, come la coppia di sceneggiatori Terzoli & Vaime. Cercavano volti nuovi. Ci hanno chiamato, concedendoci uno spazio sempre maggiore. Tutto è cominciato in punta di piedi. Noi eravamo già abituati al contatto con il pubblico. Nel cabaret c’era gente che ci avvicinava, ci faceva i complimenti, ci offriva una bottiglia, sentivamo la loro gratitudine. Anche il cinema per me e per il mio amico Cochi Ponzoni ha rappresentato una avventura nuova. Il nostro successo ha aperto la porta a tante persone. Ne sono contento. Che poi un film abbia più o meno successo fa parte del nostro mestiere: queste sono le regole dello spettacolo.
Come ti sei trovato a lavorare con gli altri grandi attori del cinema italiano?
Con alcuni ho lavorato pur rimanendo io il protagonista. Invece con altri ho recitato alla pari. Per esempio: con me Adriano Celentano ha iniziato a parlare un linguaggio che mi apparteneva. Anche la mia carriera cinematografica si è svolta in modo normale. Con il cabaret ero già abituato al successo popolare: per il cinema è stato lo stesso. Le prime volte mi sono sorpreso, poi è diventato il mio mestiere. Non ho aneddoti particolari da ricordare: ciò che conta è fare sempre un prodotto che piaccia al pubblico.
Renato, ci parli di Paolo Villaggio? Che ricordi hai della serie di film “le comiche” che avete girato insieme?
Confesso che ho preso un po’ sottogamba quel tipo di film. Era un genere che apparteneva più alla comicità di Villaggio, che per me è stato un carissimo amico. Io ho partecipato, ma quei film erano stati scritti soprattutto per lui: c’era un umorismo fatto di smorfie, di cadute. Sono comunque contento che quelle pellicole abbiano riscosso un ottimo successo di pubblico.
Alcuni tuoi colleghi hanno osservato che la televisione italiana degli anni d’oro è stata quella degli anni sessanta, inizio anni settanta. È il periodo in cui i tuoi spettacoli sono diventati popolari…
È vero. Ma il successo dei nostri spettacoli e delle nostre canzoni deve molto anche ad Enzo Jannacci. Raccontavamo in modo serio dei fatti che erano umoristici. Per esempio: la canzone “La vita l’è bela”, ricorda che la vita è facile quando hai qualcuno che ti protegge e ti tiene aperto l’ombrello. Prendeva in giro quelli che si rivolgevano alla politica per fare il proprio mestiere. Noi lavoravamo con il nostro linguaggio e le nostre intuizioni: oggi non vedo eredi al mio modo surreale di presentare le cose, che comunque rimane molto impegnativo per descrivere la realtà.
Oggi cosa ti piacerebbe vedere in televisione?
Non so: per me il mondo dello spettacolo non è tutto. Anni fa, insieme a mio fratello, ho acquistato quella che oggi è la Locanda Pozzetto (www.locandapozzetto.it). Non ho mai diviso la professione con la mia vita privata.
Parlaci dei tuoi progetti
Sto lavorando ad un film, “Una mucca in paradiso”. Un contadino viene assunto da un milionario per curare il prato del suo appartamento. Farà fortuna con il buon latte ed i formaggi prodotti da una mucca che si porterà in casa. La parte comica deriva dal rapporto fra i valori tradizionali rappresentati dal contadino e la nostra società sensibile alla semplicità delle cose. In teatro sto per iniziare una serie di spettacoli dove riproporrò le mie canzoni, alcune novità, e spezzoni dei miei film, come il “Ragazzo di Campagna” ed “È arrivato mio fratello”. Sono sempre richiestissimi dal pubblico.
NL TOMEI