“Dobbiamo intenderci sull’‘Aiutiamoli a casa loro’. Chi sono questi loro?”, il viceministro degli Esteri Mario Giro ha parlato di Europa e Africa
Qual è la situazione reale sul calo degli sbarchi? Lo chiede Askanews al viceministro degli Esteri Mario Giro, che, come scrive l’agenzia stampa, “giunto all’ultimo miglio del suo mandato svolto con i governi Renzi e Gentiloni – e concentrato sull’Africa proprio come inizio e possibile soluzione – ha illustrato una situazione libica certo migliorata, ma ancora molto complessa”. Così, secondo Giro “da una parte sicuramente il lavoro fatto in Libia ha dato i suoi frutti, prima di tutto per la Libia stessa, perché era diventato un Paese senza stato, lo è, e quindi è una porta aperta. D’altra parte stanno dando frutto gli accordi e anche il negoziato continuo che c’è con i Paesi d’origine di questi migranti e con i Paesi di transito diversi dalla Libia, come il Niger per esempio… In questo momento in Africa ci sono delle situazioni più stabili di prima: dobbiamo tenere conto che il Nord del Mali ha avuto dei problemi e li ha ancora, il Niger ha i suoi problemi meno gravi, c’è l’attacco del terrorismo sulla fascia saheliana. Tutto questo provoca degli spostamenti di popolazione e di conseguenza la gente si raduna in città. Ed è dalle città che decide l’avventura migratoria”. Sempre sull’argomento dei migranti, Giro dice: “Poi c’è una cosa in più che bisogna capire, che fa parte di un discorso che non viene mai fatto: chi sono questi che migrano? C’è una specie di rivoluzione dell’io che è avvenuta anche in Africa: i giovani decidono da soli. C’è un cambiamento antropologico in atto e con questi giovani noi dobbiamo lavorare. Perché non è più la migrazione come 10 o 20 anni fa basata sulle esigenze di povertà e sviluppo, questa è basata su esigenze diverse, anche di andare all’avventura per cercare di strappare la mia parte delle opportunità che offre la globalizzazione”.
Quel che ha fatto l’Italia
“L’Italia ha fatto dal canto suo molto perché è diventato il terzo investitore lo scorso anno in Africa – anche in questo penso, ha detto il viceministro – dopo gli Emirati Arabi Uniti e la Cina. Quindi l’Italia ha fortemente investito. Noi crediamo che ci voglia anche l’investimento privato”.
“Poi però dobbiamo intenderci sull’‘Aiutiamoli a casa loro’. Chi sono questi loro?”, propone di riflettere Giro. “Noi dobbiamo capire che ci sono delle situazioni in cui si può trattare con i governi, altre in cui è meglio trattare direttamente con il settore privato, altre in cui bisogna interfacciarsi direttamente con questa massa giovanile – che non è facile – che decide ormai da sola, essendo saltata con la rivoluzione dell’io tutta la tradizione della famiglia, della tribù, del clan. Così come salta in Occidente e in Europa e abbiamo questi fenomeni di idiosincrasia individualistica, così sta avvenendo anche in Africa: ci sono gli anziani abbandonati ormai in Africa nelle grandi città, i giovani fanno da soli e non obbediscono a nessuno. Il messaggio che deve venire dall’Europa non è solo il muro: perché ogni muro si scavalca, anche se magari non tutti riescono subito. Dobbiamo saperlo perché poi c’è uno squilibrio demografico molto forte: tanti giovani in Africa e pochissimi in Europa. Questo crea a volte delle situazioni in cui gli stati nazionali – come l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania – non riescono da soli a gestire. Quindi dobbiamo studiare approfonditamente il fenomeno. L’Africa sta cambiando, dobbiamo cambiare anche noi. E sapere che cosa offrire per aiutare loro, quelli veri, quelli ai quali veramente bisogna dare la possibilità. Personalmente credo che i giovani debbano avere anche aperta davanti a loro la possibilità, gli africani, la possibilità di investire a casa loro e diventare imprenditori di se stessi. Fino adesso il grande fornitore di lavoro in Africa è stato lo Stato; ma lo Stato africano non ce la fa più. Ci vuole un settore privato serio, quindi imprese che vadano a investire, creino lavoro e si crei lavoro a cascata. E non soltanto imprese che vanno a prendere le materie prime, sia minerali sia agricole, e portarle via. Questo non basta: già era sbagliato in sé e non funziona comunque più”.