Una riflessione che mette al centro del dibattito internazionale il tema dell’immigrazione
‘Una riflessione molto personale sull’odierna situazione di crisi che vivono i rifugiati’: così Vanessa Redgrave ha descritto a Roma il 20 giugno scorso, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, la sua opera, ‘Sea Sorrow – Il dolore del mare’, un documentario sui migranti che cercano asilo in Europa. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso novembre e precedentemente al Festival di Cannes e al New York Film Festival, il documentario segna il debutto alla regia della famosa attrice inglese dopo un lungo viaggio sulle tracce di chi ha abbandonato la sua terra per raggiungere le coste europee e sfuggire alla miseria, alla guerra e alla violenza.
Attenzione particolare è riservata soprattutto ai bambini, che rappresentano un dramma nel dramma, dei quali la regista si è da sempre occupata nel corso del suo impegno umanitario. A raccontare la difficile esperienza dei rifugiati sono le parole e gli occhi degli attivisti e degli stessi immigrati che raccontano il loro passato lasciando trasparire l’ansia e la speranza per un presente ed un futuro diverso. Racconti e testimonianze che spingono a riflettere sull’emergenza che parte del mondo si trova suo malgrado ad affrontare e sull’importanza dei diritti umani.
Con un chiaro richiamo al dramma skakespeariano cui il documentario si rifà già a partire dal titolo (il monologo ‘La tempesta’), l’attrice e regista sembra appellarsi al senso di responsabilità degli europei, ponendo particolarmente l’accento sulla posizione, definita ‘poco generosa’, dell’Inghilterra.
Il documentario, prodotto dall’attrice inglese insieme a Carlo, il figlio avuto dall’attore italiano Franco Nero, prende spunto anche dalle sue vicende personali: da bambina, infatti, l’attrice lasciò Londra per trovare riparo dalle bombe tedesche. La storia dei rifugiati in Europa intreccia quindi episodi della Seconda guerra mondiale, come i bambini ebrei salvati in Inghilterra con speciali treni, con quelle di oggi: su tutti la morte del piccolo Alan Kurdi su una spiaggia turca, uno degli episodi che ha spinto la Redgrave, ambasciatrice Unicef dal 1990, a produrre un film su questo tema. E le sfortunate vicende delle ultime settimane della nave Aquarius rendono ancora più attuale e urgente una riflessione a respiro internazionale sul tema dell’immigrazione e dei diritti umani.
“Con il film volevo che le persone iniziassero a vedere i rifugiati come ‘qualcuno di noi’ invece che ‘qualcuno di loro’. La mia vita è coinvolta, artisticamente e umanamente, nel mondo della comunicazione e volevo trovare il modo giusto di parlare di questo argomento. Avevo paura di mettermi nel film in prima persona, non so perché. Ma mio figlio Carlo mi ha convinto, dicendo che le persone avrebbero capito molto di più se avessero sentito anche la mia storia personale. Sono sempre stata una sostenitrice dei diritti umani e dei diritti dei bambini.
Nel film racconto di quando nel 1948 ascoltai alla radio BBC la lettura degli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. All’epoca ero una ragazza di 11 anni e quel momento ha segnato per me un nuovo inizio. Quella trasmissione mi ha profondamente ispirata e oggi il mio impegno è aiutare le persone ad ascoltare. Ho sempre voluto sostenere gli altri perché sono cresciuta con la guerra e tutti all’epoca eravamo educati all’idea di aiutare chi ci stava intorno. Ho incontrato molti psicologi dell’età evolutiva che lavorano in zone di guerra e campi profughi. Una volta mi hanno spiegato che se i bambini sotto i 7 sette anni riescono a percepire la vera gentilezza, allora avranno la consapevolezza per il resto della vita che esiste un sentimento come la bontà umana. E questo darà loro forza per tutta la vita. È un’età ultra formativa: pensate a cosa può fare questo piccolo ma enorme pezzetto di consapevolezza”, ha spiegato la regista.
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