Pensieri per l’anno che verrà
Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave. La conclusione di una lirica del grande Leopardi – “Il sabato del villaggio “- riassume, divinamente, il senso di una vita.
I sogni, gli aneliti, le aspettative della giovinezza, destinati a scontrarsi con la dura realtà della maturità. Il Sabato e la domenica di un anno qualsiasi come la metafora di un sogno svanito nel nulla nel momento stesso in cui credi di averlo realizzato. È un po’ il destino di tutti, sicuramente, del mio e sin dalla prima infanzia.
Le giornate con lo sguardo all’insù, dopo aver grattato i fiori sulle finestre del gelido mese dicembrino, in attesa del primo fiocco di neve. Lo attendevi ogni anno sperando di salire con il babbo sino all’alpe Prenzera per poi scendere in picchiata, pilotando il ferrato slittino, verso il fondo valle e il casolare materno.
Prima o poi si avverava, il mistero, lasciandoti stordito e stranito per la fine del sogno. Fu così più tardi sulla malga in aiuto ai pastori. Il salario del trimestre estivo – le vacanze scolastiche – per acquistare una magica bianchi d’occasione, la due ruote del grande Fausto, e poter così salire verso i tornanti dello Stelvio pensando di essere l’invincibile Achille, o forse, il tragico Ettore, l’omerico eroe più vicino al mio cuore.
E più tardi, a maturità realizzata, verso l’avventura universitaria finita nel nulla. Gli anni africani, nella Libia già terra coloniale italiana. In seguito la Svizzera, il successo professionale – la direzione di opere del genio civile – stracciato un attimo dopo aver raggiunto l’obiettivo, la meta. La scelta della politica, da sempre dentro il tuo DNA. Da quando vedesti il babbo e gli zii tornare dai monti imbracciando il fucile della loro libertà. Sono qua a Pfaeffikon, nel villaggio adagiato ai piedi dell’Etzel. Osservo le brume del lago nei primi giorni di un anno un po’ strano. La finestra, l’eterna finestra senza più fiori del ghiaccio invernale, impediti dal progresso e dal cambiamento del clima. Mi sorprendo a guardare all’insù, come se aspettassi – ancora!- l’avverarsi del sogno: quel fiocco di neve, sballottato dal vento che scende a imbiancare la terra, sua amica. Ho ascoltato, il 31 dicembre dell’anno che fu, il messaggio del nostro presidente, Sergio Mattarella.
Un discorso pacato, permeato, persino, da un filo di tenue tristezza. O forse, è quel viso così nobile e fiero in cui scorgi i segni, talvolta drammatici, di una vita vissuta. Ha parlato al cuore e alla ragione di ognuno. A quelli che non hanno il lavoro o l’hanno perduto. Ai furbi che eludono le tasse, distruggendo, in tal modo, ogni speranza di crescita. Ai giovani, a cui il futuro di un sabato sera, chissà quando e perché, non riservi delle amare sorprese. Ha indicato l’esempio di quattro giovani donne – Fabiola, Samantha, Nicole, Valeria – di cui l’Italia può essere fiera. Fabiola, chiamata a dirigere i tecnici all’uopo per scoprire i segreti dell’atomo nei tunnel del Cern ginevrino. Samantha, che ci parlò da lassù, descrivendo il mistero dell’universo stellato; Nicole, l’esempio di come niente e nessuno può impedirti di raggiungere il sogno di olimpia.
Di una, purtroppo, Valeria, varrà solo l’impegno di tutti per evitare l’oblio. Un omaggio riconoscente a tutte le donne italiane E il mio pensiero va alle donne dell’emigrazione, vero pilastro delle famiglie italiane del secolo passato nel mondo dell’emigrazione italiana all’estero. Un giorno bisognerà pur scrivere la vera storia di chi ha saputo costruire il futuro nel silenzio di chi non aveva voce per combattere l’ostilità e la solitudine. Ha parlato di solidarietà e accoglienza verso i disperati che bussano alle porte dell’Europa, sfuggendo alle guerre, all’odio etnico e religioso, alla ricerca – Magna est Libertas – della loro libertà.
Umano e doveroso, accoglierli. Lo impone la ragione figlia dell’uomo. E tuttavia, con la giusta premessa: nel rispetto delle leggi e delle tradizioni storiche, religiose e culturali della nazione italiana. Sono, in fondo, gli obiettivi storici per cui milioni di emigrati italiani nel mondo hanno combattuto per affermare il diritto alla pari dignità nel contesto dei popoli e delle nazioni in cui hanno operato e vissuto .
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