Ancora sono pochi gli svizzeri che lasciano il paese per recarsi in Siria o altre regioni di crisi per combattere per lo Stato islamico Isis. Miryam Eser della ZHAW però avverte di non sottovalutare questo fenomeno
Uno studio della Scuola universitaria professionale delle Scienze applicate a Zurigo ZHAW si è occupato di “foreign fighters” svizzeri, ovvero le persone che dalla Svizzera partono per abbracciare il jihad, la “guerra santa” islamica.
Perché giovani uomini diventano guerrieri del jihad? Come sviluppano questa forma di radicalizzazione che per i parenti, ma anche per la società è difficile da comprendere? Domande come queste hanno spinto la ZHAW ad analizzare il fenomeno dei “foreign fighters”, considerando vari aspetti individuali e sociali, per capire le origini.
Lo studio ha incluso esperienze e punti di vista di diverse persone, entrate in contatto con il fenomeno, grazie a interviste, un sondaggio su internet e molto lavoro di ricerca. In collaborazione con il Servizio delle attività informative della Confederazione SIC è stato creato un quadro che include informazioni come età, sesso e nazionalità.
Gli autori dello studio, tra cui la direttrice Miryam Eser Davolio, si sono basati su due domande centrali: Quali origini hanno un’influenza sulla radicalizzazione jihadista? Quali risorse civili-sociali esistono per prevenzione e intervento?
L’adolescenza è una fase decisiva
“La maggior parte dei combattenti jihadisti svizzeri hanno tra 20 e 35 anni, ma la prevenzione dev’essere concentrata sugli adolescenti”, si legge nel comunicato della ZHAW. Inoltre “Nell’adolescenza come fase di transito biografica i giovani iniziano a sviluppare piani per la propria vita e si posizionano in contesti professionali, sociali e politici. Proprio nelle società migratorie l’aspetto della posizione è essenziale: deprezzamento, esclusione, appartenenza e identificazione sono argomenti di cui si preoccupano”.
Il SIC ha dichiarato che dal 2001 sono state 69 le persone che si sono recati nelle zone di crisi per motivi jihadisti, tra questi si trovavano anche tre donne.
L’aderimento non si svolge nelle moschee o nelle prigioni
Lo studio dimostra che il processo di cambiamento non avviene in moschee o in prigioni. Internet invece, ovvero i social media, giocherebbe un ruolo importante nel reclutamento e nel processo di cambiamento radicale.
Non esisterebbe inoltre un profilo tipico di un foreign fighter, si trovano in tutte le fasce sociali, ogni quinto non è cresciuto in un contesto di religione musulmana, ma si è convertito più tardi.
E in Italia?
“Oggi – spiega il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – abbiamo a che fare con un terrorismo che ha ambizioni, uomini e soldi che nessuno ha avuto. È diverso da quello che sferrò l’attacco alle Torri gemelle, è fatto da donne e uomini che hanno strategie precise. Mai era successo che qualcuno avesse avuto ambizione di farsi Stato, come l’Islamic State, questa è la minaccia terroristica con la quale abbiamo a che fare”.
Nello specifico, si contano 81 foreign fighters andati in Siria che hanno avuto in qualche modo a che fare con l’Italia. Delle decine di combattenti quelli con nazionalità italiana sono 5 e antri 5 con la doppia nazionalità.
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Fonte dati: ZHAW
Intervista con un combattente tornato dalla Siria
Per lo studio gli autori hanno intervistato un combattente dell’Isis in Siria dopo il ritorno in Svizzera. Il 30enne, di famiglia benestante, si è recato in Siria a dicembre del 2013, è rimasto nell’Isis fino al marzo del 2014. Le motivazioni che lo hanno spinto a partire erano di scopo umanitario: voleva fare un reportage fotografico sul massacro provocato da Bachar el-Assad e non è stata la prima volta che il 30enne si è recato in zone di crisi. Agli inizi del 2013 poi, si è convertito all’Islam. L’uomo si trovava in una situazione difficile: senza formazione, senza lavoro, non deambulante per colpa di un incidente e ha iniziato a passare molto tempo su internet, nei social. Così tramite facebook è entrato in contatto con un addetto al reclutamento, passano solo pochi mesi e arriva a prendere la decisione di partire per la Siria. Una volta lì però le sue aspettative non corrispondono con la realtà, rifiuta di usare armi e finisce in carcere. Dopo il ritorno in Svizzera viene punito per il sostegno e partecipazione di un’organizzazione criminale e per aver combattuto per una guerra straniera. Secondo l’uomo, si sarebbe ritrovato in una specie di setta.