Il presidente della Repubblica Napolitano deporrà al processo per la trattativa tra Stato e mafia. Lo hanno deciso i giudici della Corte d’Assise di Palermo accogliendo la richiesta avanzata dai pm nell’ultima udienza
Napolitano era già stato citato come teste il 17 ottobre 2013 e, attraverso una lettera alla Corte d’Assise, aveva fatto sapere di non avere nulla da riferire sulla trattativa. Il capo dello Stato dovrà essere ascoltato dalla Corte d’Assise di Palermo sulla lettera che il suo ex consigliere giuridico, Loris D’Ambrosio, gli inviò il 18 giugno 2012, poco prima di morire, nella quale esprimeva il timore al presidente di essere stato “utile scriba di cose utili per fungere da scudo per indicibili accordi” nel periodo tra il 1989 e il 1993. La testimonianza è stata ammessa perché resta “l’interesse” dei pm, in quanto la deposizione del capo dello Stato non è né “superflua né irrilevante” e quindi sarà presto sentito anche solo “per acquisire una dichiarazione negativa di conoscenza dei fatti”. La Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, ha deciso di ammettere come teste il presidente in un’udienza che avverrà al Quirinale a porte chiuse, alla sola presenza dei pm e dei difensori degli imputati. Dopo la notizia, lasciando l’aula bunker dell’Ucciardone, il pm Nino Di Matteo ha detto: “Prendiamo atto della decisione”. E ancora: “Avevamo già illustrato i motivi per i quali ritenevamo pertinente e rilevante la testimonianza del Capo dello Stato”.
In mattinata è stato ascoltato come teste l’ex premier Dc Ciriaco De Mita che, arrivando al bunker, all’Adnkronos ha detto: “Non ho mai saputo nulla della trattativa. L’ho ripetuto più volte ai magistrati”. E ancora: “Poco prima che lo ammazzassero, Giovanni Falcone mi cercò per dirmi la sua opinione” ha detto ancora De Mita.
L’ex Dc, da tempo sindaco di Nusco, deponendo ha raccontato che “dopo l’uccisione di Salvo Lima il giudice Giovanni Falcone mi volle incontrare e mi disse: preparatevi perché dopo la sentenza della Cassazione del maxiprocesso la mafia si deve riorganizzare e eleverà il livello di scontro con lo Stato”. E “dopo pochi giorni dall’omicidio, mi chiamò un mio amico magistrato che mi disse che Falcone mi voleva incontrare. Io risposi che era fuori luogo perché c’era la campagna elettorale ma lui insistette e così concordammo per il 15 marzo 1992 a Roma. Falcone mi prelevò dall’Hotel Hilton e mi disse di prepararci perché la mafia avrebbe alzato il livello di scontro con lo Stato”. Chiedendogli “perché lo raccontava a me che ero presidente Dc e non un rappresentante delle istituzioni, ministro o premier, lui mi spiegò – ha proseguito De Mita – ‘perché è una persona che stimo’. E quando gli dissi perché non scriveva ciò che stava dicendo a me, ha risposto: perché in questo momento queste cose non passano”. L’ex politico Dc ha poi raccontato anche che, in quella conversazione romana, Falcone gli avrebbe detto “Salvo Lima non era mafioso”.