Dal rapporto Schilling risulta che i due terzi dei manager delle società quotate nel principale indice della borsa svizzera sono stranieri e tra qualche tempo saranno circa la metà
Un tempo si diceva che il punto di forza della Svizzera sta nella sua identità che la rende una nazione ineccepibile su tutti i fronti.
Tra le sue qualità indiscusse, oltre alla politica caratterizzata dall’indipendenza, dalla neutralità, e dal modello di partecipazione che rende tutti i cittadini veri e propri attori statali, c’è l’economia del Paese che può contare su salde imprese nazionali, sia quelle dei settori tradizionali, quali l’industria orologiera e meccanica, sia di quelli moderni e globali nel campo finanziario e farmaceutico. E sulla forza dell’economia svizzera c’è poco da chiacchierare, viste le scarse ripercussioni della crisi degli ultimi anni sulla Confederazione Elvetica rispetto agli altri Paesi.Questo è quello che si credeva in passato, ma leggendo i risultati di studi come quelli presentati nel rapporto Schilling, viene da chiedersi se il merito sia davvero tutto svizzero. Dal 2006 la società Guido Schilling realizza uno studio che riguarda le aziende elvetiche e la loro organizzazione interna. In maniera specifica, il rapporto Schilling ha voluto prendere in esame la dirigenza delle imprese, evidenziando un dato del tutto inaspettato e cioè che nel 2006 (primo anno della stesura del rapporto) il 36% dei manager delle 116 più importanti aziende svizzere erano di nazionalità straniera, quota che in pochi anni è salita al 45%. Il dato, inoltre, non tende a decrescere, anzi, è in continuo aumento tanto che si prospetta che entro il 2015 i dirigenti svizzeri saranno in minoranza rispetto ai colleghi stranieri. Questo dato, sicuramente inaspettato, è il risultato di cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e fa sorgere la seguente domanda: perché questo cambio di rotta se l’economia svizzera non ha mai conosciuto momenti particolarmente negativi? La questione di fondo è che l’economia è in continua espansione in tutto il mondo e niente è in grado di mettere in relazione le nazioni più dell’economia stessa. Anche la Svizzera ha sentito il bisogno di guardare oltre i propri confini e l’espansione verso nuovi mercati ha richiesto conoscenze ed esperienze che superano i confini nazionali. Con il crescere delle piccole e medie imprese e il loro inserimento in un contesto internazionale, la richiesta di manodopera qualificata è stata soddisfatta non solo dall’interno ma anche, e soprattutto, dall’estero da dove, grazie all’agevolazione derivante dall’apertura delle frontiere ai lavoratori dell’Unione Europea nel 2002, arriva la maggior parte della manodopera richiesta che spesso occupa impieghi di alto livello, tra cui molti posti dirigenziali.
Gli svizzeri non vedono di buon occhio questa situazione e accusano una sorta di intromissione che potrebbe intaccare i valori e le qualità del Paese. Inoltre, secondo alcuni, i manager stranieri possono porre dei gravi problemi di cultura imprenditoriale: non conoscono il contesto del Paese dove operano e nemmeno la legislazione in materia di diritto del lavoro, in più, non avendo legami con il territorio in cui lavorano, non sentono alcuna responsabilità sociale nei confronti della Svizzera. Per non parlare del fatto che il problema potrebbe allargarsi se il dirigente straniero introduce manodopera d’importazione a tutti i livelli aziendali, riducendo gravemente gli sbocchi professionali del personale svizzero.
Tra gli stranieri che preoccupano principalmente la popolazione svizzera ci sono i tedeschi che, pare, toglierebbero agli svizzeri numerosi impieghi nel settore medico, come pure in quello legale e industriale. Il dato però non è così sorprendente poiché i vicini manager tedeschi sono facilitati dalla conoscenza della lingua che ne favorisce l’inserimento. Nelle aziende più grandi, invece, i manager americani ad avere la meglio.