È una mostra a tema, quella in corso al Museo d’Arte della Svizzera Italiana-MASI di Lugano per il periodo primaverile e sino al prossimo 16 giugno. Chiara nella proposta: “Surrealismo Svizzera”. Riuscita nei contenuti. Una mostra dalla grammatica semplice: soggetto, verbo e aggettivo. Culturalmente validissima per pretendere una deviazione di percorso in Ticino nelle imminenti festività di Pasqua. La parola ai fatti. Il MASI, in collaborazione con l’Aargauer Kunsthaus di Aarau, si confronta per la prima volta in modo approfondito con il tema del Surrealismo, indagando l’influenza che questa corrente del XX secolo ha avuto sulla produzione artistica in Svizzera ed il contributo degli artisti elvetici nel definirne il percorso. Parlare di surrealismo significa abbandonarsi ai messaggi dell’ inconscio e del periodo storico in cui questo movimento si è sviluppato a partire dal 1920. Anni del primo dopoguerra. Tormentati da profonde inquietudini sociali, civili e soprattutto politiche. Per interpretare la tormentata realtà di quella epoca, l’arte si incammina verso una irreale analisi degli istinti primari: l’ amore, la morte e la inquieta relazione tra questi due eterni opposti. Il percorso espositivo del MASI si compone di un centinaio di opere ed esordisce, attraverso una selezione ragionata di disegni e documenti, con una panoramica sullo sviluppo del movimento surrealista. La mostra continua con alcune opere dei maggiori portavoce confederati del Surrealismo, a cominciare da Hans Arp e Paul Klee. A questi poi seguono i principali artisti svizzeri: suddivisi in due correnti. Da un lato, i rappresentanti del movimento a Parigi fra i quali Alberto Giacometti e Meret Oppenheim, fedeli ai canoni di un surrealismo astratto, sensibilissimo nel sondare l’umano inconscio. Parallelamente, anche in Svizzera risultavano attivi altri surrealisti, come Otto Abt e Werner Schaad. Artisti dalla rappresentazione precisa e realistica, ma dove è il contenuto a sconvolgere piu’ della forma. Un esempio lo offre “Metamorphose im Raum” di Werner Schaad, di cui si allega la fotografia. In un grigio salotto borghese appare una donna che regge un’ascia, alle spalle di personaggio dalle sembianze di un Hitler pensieroso e avvolto in un drappo rosso. Accanto a loro: enormi birilli bianchi; una persona che fissa il soffitto; una inutile lampada spenta; uno specchio rivolto al muro ma che riflette un impossibile cielo azzurro ed un inutile rubinetto chiuso da cui sgorga una roccia. È il riassunto figurativo delle contraddizioni esistenziali che nel 1930 già sembravano anticipare il delirio della seconda guerra mondiale prossima a venire.
NL TOMEI