Le relazioni bilaterali tra Svizzera e Unione europea (Ue) si apprestano a vivere un anno che si preannuncia meno intenso del 2009. Parlare di dodici mesi senza sussulti è però azzardato: molto dipenderà dall’atteggiamento di Bruxelles in ambito fiscale. I sostenitori della via bilaterale possono dormire sonni tranquilli: la relazione che lega la Svizzera all’Unione europea (Ue) dagli anni ’70 non dovrebbe essere rimessa in discussione. Perlomeno, non nell’immediato. Dopo aver approvato il rinnovo dell’accordo sulla libera circolazione delle persone e la sua estensione a Romania e Bulgaria (votazione popolare dell’8 febbraio 2009), la Svizzera ha superato una tappa decisiva, ritiene René Schwok, ricercatore dell’Istituto europeo dell’Università di Ginevra. «Ora non possiamo più fare marcia indietro: il voto sulla libera circolazione, che avrebbe potuto far saltare l’intera intesa con Bruxelles, ha confermato che il popolo elvetico vuole proseguire sulla via bilaterale». Affermare che non ci saranno più problemi, avverte Schwok, è tuttavia avventato. Il 2010 si apre in effetti con una grande incognita. «L’Ue si farà avanti lanciando la “madre” di tutte le guerre?», s’interroga il docente universitario.
Segreto bancario
Nel corso del 2009, rammenta Schwok, il segreto bancario elvetico è stato oggetto di diversi attacchi. «Le pressioni sono venute da singoli paesi – Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti – oppure attraverso l’OCSE [Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico] e il G-20». «Bruxelles non ha invece preso posizione, anche perché nell’Ue ci sono Stati come Austria e Lussemburgo che si trovavano nella stessa posizione della Svizzera». Superata la crisi istituzionale innescata dalla bocciatura della Costituzione europea – poi sostituita dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1. dicembre 2009 – l’Ue sembra ora intenzionata ad agire. «Potrebbe chiedere alla Svizzera uno scambio automatico delle informazioni di dati bancari», osserva Schwok. Lazlo Kovacs, commissario europeo alla fiscalità, ha già annunciato di voler rinegoziare l’accordo con Berna del 2004 sulla frode fiscale. L’obiettivo di Bruxelles è di applicare dei principi di trasparenza e di buon governo a livello internazionale. Per Kovacs, si legge in un’intervista apparsa su Le Temps, lo scambio automatico di informazioni fiscali costituisce «l’unica norma accettabile per l’Ue». Lo spazio di manovra della Confederazione – che si oppone a qualsiasi automatismo – appare così limitato. Anche perché Austria e Lussemburgo sono pronti a sopprimere il loro segreto bancario, se la Svizzera farà altrettanto…
Fiscalità dei cantoni
La questione della fiscalità cantonale delle imprese, da tempo nel mirino dell’Ue, dovrebbe al contrario vivere una tregua temporanea. Un armistizio che la Svizzera ha ottenuto con alcune concessioni. Per smorzare la polemica sui regimi fiscali applicati da alcuni cantoni elvetici – che secondo Bruxelles favoriscono la delocalizzazione di aziende europee verso la Svizzera – Berna si è detta disposta ad abolire i privilegi delle cosiddette “società bucalettere” e a proibire alle holding di esercitare qualsiasi attività commerciale. Un gesto di “buona volontà” accolto positivamente dalla Commissione europea, la quale ha congelato le sue rivendicazioni. Stando a una bozza di dichiarazione confidenziale tra la Svizzera e l’Ue, riportata dal quotidiano economico L’Agefi, la Commissione non proseguirà l’esame del dossier fino a quando non saranno valutati gli effetti delle proposte elvetiche.
Immigrazione e disoccupazione
Oltre al segreto bancario, tra i temi che rischiano di surriscaldare gli animi vi è la questione migratoria. Confrontato all’inevitabile aumento della disoccupazione, il governo elvetico non esclude di attivare la cosiddetta “clausola di salvaguardia”, prevista dall’accordo sulla libera circolazione. Essa consente alla Svizzera di introdurre temporaneamente dei contingenti per la manodopera straniera in caso di immigrazione eccessiva. Tale decisione è già stata presa per i lavoratori provenienti dagli Stati terzi (non membri dell’Ue o dell’Associazione europea di libero scambio). Nel corso dell’anno, il Consiglio federale valuterà se limitare i permessi di soggiorno anche per i cittadini europei. Un provvedimento che agli occhi dell’ambasciatore dell’Ue a Berna, Michael Reiterer, appare «ingiustificato». «In seguito alla crisi economica – ha dichiarato – l’immigrazione in Svizzera è diminuita del 20%: se considero questo dato non posso immaginare che ci siano le condizioni contrattuali per attivare la clausola di salvaguardia». Disoccupazione e immigrazione saranno anche al centro dell’agenda politica dei principali partiti elvetici. L’Unione democratica di centro, tradizionalmente contraria a qualsiasi avvicinamento all’Europa, chiede di rinegoziare l’intero accordo sulla libera circolazione. Anche i socialisti, più europeisti, riconoscono che l’applicazione del trattato è problematica nelle regioni di frontiera (in particolare Ticino e Ginevra). Prima di affinare le proprie strategie, i partiti attenderanno verosimilmente la pubblicazione del rapporto Markwalder (dal nome della deputata Christa Markwalder) dell’Ufficio federale dell’integrazione. Previsto per la prima metà dell’anno, il rapporto conterrà le valutazioni sui vari strumenti di politica europea a disposizione del governo.
Anno di trattative
Il 2010 sarà infine segnato dal proseguimento dei negoziati – lanciati a fine 2008 – in campo agricolo (abolizione degli ostacoli doganali al commercio di prodotti agricoli), energetico e sanitario. Si discuterà anche della partecipazione svizzera al nuovo sistema comunitario di registrazione e di regolamentazione dei prodotti chimici (sistema REACH), così come al programma europeo di navigazione satellitare Galileo. «Sarà interessante seguire come si svilupperanno le trattative nel dossier agricolo. Tutte le associazioni e i rappresentanti dei contadini elvetici si oppongono: è la prima volta nella storia che la Svizzera negozia in un settore in cui i principali interessati sono contrari», conclude René Schwok.