Le cronache di oggi si soffermano a commentare il caso del dossieraggio e della vendita dei dati sensibili all’estero, venuto alla luce lo scorso venerdì con l’arresto di un’organizzazione di “spioni” con a capo un ex super poliziotto. Il network, guidato dall’ex poliziotto Carmine Gallo, aveva tra le mani gli affari privati di migliaia e migliaia di nomi, tra cui anche quelli delle più alte cariche del nostro Paese. Una mole di dati tali (circa 800mila dossier) con la quale, per i magistrati, si può “tenere in pugno cittadini e istituzioni” e “condizionare” dinamiche “imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie” e che avrebbe fatto incassare all’associazione di Gallo, un totale di oltre 3,1 milioni di euro di “profitti illeciti”. I magistrati milanesi che seguono l’inchiesta dicono chiaramente che il caso costituisce un vero e proprio “pericolo per la democrazia di questo Paese”. Anche per il ministro Tajani “è una inaccettabile minaccia alla democrazia” in pericolo anche in quanto le informazioni riservate “possono essere usate da chi è nostro nemico dal punto di vista geo-strategico”. Per la premier Giorgia Meloni, che figura tra gli spiati, “nessuno Stato di diritto può tollerare” uno scandalo del genere e arriva a parlare di eversione: “nella migliore delle ipotesi, alla base di questo lavoro c’era un sistema di ricatto ed estorsione, ma nella peggiore siamo davanti al reato di eversione” afferma la Premier, ed esorta la magistratura ad “andare fino in fondo”.
Per quanto eclatante sia l’evento, soprattutto per la mole di dati sensibili in mano all’associazione di Galli, ma anche per le personalità coinvolte, non è poi così difficile pensare che viviamo in un’epoca dove c’è un reale ed effettivo problema di sicurezza della privacy. È impossibile pensare che i nostri dati personali e privati siano davvero tali e ineccepibili, il fatto che facilmente siano state spiate personalità politiche ai vertici del Governo, fino addirittura il Presidente della Repubblica, ci fa realizzare che siamo tutti potenziali bersagli. Tutto ciò che può essere fatto da remoto, lavoro, movimenti bancari, acquisti, interazioni sociali, lasciano una solida impronta che ci rende assolutamente vulnerabili, in barba a qualsiasi programma di protezione informatica. Avere una vita in rete, significa anche avere delle porte d’accesso facilmente penetrabili da qualsiasi “malintenzionato”, questo vale sia per le più grandi aziende che devono proteggere i propri dati sensibili che potrebbero essere motivo di estorsione, sia per il singolo utente, semplice cittadino, che diviene la vittima ideale di phishing e di truffe online. Tutto questo purtroppo è inevitabile, oggi funziona così, non possiamo non conformarci al sistema perché si tratta di progresso, requisito necessario per andare avanti.
E non pensiamo che sia un fenomeno tutto italiano. In America l’uso dei dati sensibili e personali è all’ordine del giorno, quasi una prassi nel periodo elettorale. Addirittura le agenzie di spionaggio e di intelligence americane acquistano enormi quantità di informazioni sensibili sui cittadini statunitensi, inclusi dati da computer, smartphone e veicoli connessi alla rete. Anche in Svizzera abbiamo avuto il caso eclatante dell’attacco hacker ai dati privati del gruppo NZZ, e di CH media, al fine di ricattare le due aziende di diffondere questi dati pubblicamente. Avviene semplicemente perché oggi i dati sensibili sono richiesti dal mercato. Questo significa che se prima si rubavano ori e preziosi, oggi ci si arricchisce con i dati sensibili trafugati illegalmente.
Tutto ha un prezzo e questo è quello del progresso, probabilmente in futuro esisteranno metodi per migliorare la tutela della privacy, o forse chissà, non esisterà più privacy… ma adesso siamo tutti possibili bersagli.
Redazione La Pagina