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22 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

Un raggio di luce nel marasma italiano

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Vasco Rossi e il suo popolo

Un uomo solo è al comando. Porta una giacca di pelle prima gialla e poi nera, parla e canta per la folla convenuta sulla spianata del Parco Ferrari di Modena, talmente estesa da sembrarti non aver fine sino a quando l’occhio umano la può raggiungere con il suo sguardo. Le luci della notte assistono al racconto di una fiaba per un popolo che non  ha smarrito il diritto a sognare.  Il suo nome è Vasco Rossi.
Cento al sorgere dell’alba, Settecento nella tarda mattinata. Un migliaio di disperati verso sera, raccolti dalla nave svedese del capitano coraggioso che udì i battiti dei loro cuori prima che fossero inghiottiti nelle profondità degli abissi.
Centomila, o giù di lì, i naufraghi della disperazione africana accolti sul suolo patrio senza che l’Europa, immiserita nel suo rinascente egoismo, abbia fatto qualcosa per esprimere una concreta solidarietà.
Siamo ancora soli. Soli a decidere il nostro destino mentre i nanetti, chiamati dai loro popoli a guidare le nazioni europee, sono convenuti a Strasburgo a piangere  lacrime di coccodrillo sulle spoglie mortali di Helmut Kohl, il grande statista che seppe trasmettere il sogno di una nuova unità europea costruita sulla convivenza e la pari dignità.
Un mondo senza dominatori, come ha ben detto, nel suo commosso saluto all’amico Helmut, l’ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton.
Tutto ciò accade dopo un voto, l’amministrativo di domenica 25 Giugno, che ci ha consegnato l’immagine di una crisi italiana che non ha fine.
Che squaderna, come avrebbe detto, Alfredo Reichlin,  l’alto dirigente politico della sinistra da poco scomparso, il problema dei problemi, cioè la crisi storica del vecchio stato italiano.
Partendo, naturalmente, da una cultura molto diversa dai leghisti italiani targati Matteo Salvini.
La grande operazione come meta, come obiettivo principale della sinistra storica di un tempo, la conciliazione del mondo del lavoro con lo stato, la democrazia come mutamento del rapporto tra dirigenti e diretti, insomma, la costituzione repubblicana, affermava Alfredo , era il programma fondamentale della sinistra.
Non ho mai sentito i maggiori dirigenti della sinistra dire altre cose se non affermare la difesa della costituzione repubblicana.
Non è esagerato temere che siamo di fronte a qualcosa come la secessione silenziosa, per certi aspetti, del nord.
La domanda è, perché tanta parte del Nord non ha votato ?
Veramente le spiegazioni sono tutte quelle che stiamo dando?
Cioè: le tasse, l’inefficienza, le ingiustizie, lo spettacolo indecente della politica. Venti anni fa questo paese quando il governo gli chiese una tassa speciale per andare in Europa, la pagò, e la pagò volentieri.
Perché? Perché era fatto in funzione di un obiettivo specifico e storico: entrare in Europa.
Ora, il problema dei problemi è proprio questo, non essere riusciti a rendere chiara quale è la nostra missione.
Non siamo riusciti a rinnovare le istituzioni e costruire la seconda repubblica.
Il crollo della prima aprì un vuoto molto grande perché lo stato non è solo le sue istituzioni formali. Lo stato è la sua costituzione materiale, il complesso dei legami e dei compromessi sociali che lo sorreggono, è il collante, le cose che tengono insieme gli italiani.
La prima repubblica li tenne insieme non a chiacchere, ma perché fu uno strano e lodevole miscuglio di cose.
Le forze progressiste devono offrire al paese un nuovo modo di stare assieme, altrimenti il Nord diverrà come la Baviera, l’appendice della Germania, e il Sud un pezzo di non so che cosa.
Il Nord non può accettare la monnezza a Roma dopo Napoli. E le tasse si pagano in cambio di qualcosa.
Se il tema è questo la si smetta di fare chiacchiera politica sul niente.
E se passiamo al federalismo stiamo attenti  a che lo stesso sia anche una risposta in termini innovativi dello stare assieme. Perché?
Perché l’Italia è una nazione a rischio e faccio spesso l’esempio del 600 quando eravamo il paese più ricco del mondo. E Venezia, Firenze, Milano non avevano paragoni in Europa, solo che gli europei stavano costruendo lo stato nazione: in Francia, in Inghilterra, in Spagna e noi rimanevamo delle repubblichette.
Consapevoli che, d’altronde, Firenze, Venezia e Milano di ieri sono gli stati nazionali d’oggi nel mondo globale. Se l’Europa non troverà la strada virtuosa dell’unità politica di fronte alla sfida planetaria sarà destinata alla decadenza come le antiche repubblichette del seicento italiano.

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