I “locali di iniezione” per i tossicodipendenti sono divenuti ormai punto d’incontro senza controversie
Nel 1986 la città di Berna era sui titoli di cronaca della stampa internazionale. Nella capitale svizzera accadeva qualcosa d’inimmaginabile per quei tempi. Con l’obiettivo di allontanare i tossicodipendenti dalla “scena aperta” della droga, nella Münstergasse 12 apriva il primo “Fixerstübli” (locale di iniezione) per tossicomani, dove essi potevano iniettarsi legalmente le dosi in condizioni igieniche accettabili e sotto osservazione. Berna ha fatto scuola: oggi esiste in Svizzera una dozzina di “locali di iniezione”, di cui la maggior parte si trova nella Svizzera tedesca, con l’unica eccezione di Ginevra e la città bilingue di Bienna. Il modello bernese fu imitato da Zurigo nel 1994. Il “Fixerstübli” compie oggi 25 anni e accoglie più di 200 persone al giorno.
Dopo aver passato il controllo all’entrata, i tossicodipendenti hanno, in uno spazio separato, mezz’ora di tempo per consumare la propria droga che si procurano loro stessi. Per Jakob Huber della Fondazione Contact Netz di Berna, il passo compiuto due decenni fa è stato rivoluzionario nel lavoro contro la dipendenza: “L’importante era la sopravvivenza delle persone, che ci permetteva di mantenere il contatto, per poi poterle integrare nelle offerte d’aiuto”. Nella metà degli anni ’80 quando Berna era dominata dalla “scena aperta” della droga la politica della repressione si rivelò poco efficiente. Il “Fixerstübli” fu un atto contro l’insubordinazione. L’iniziativa provocò dapprima grande diffidenza nella popolazione e scetticismo nelle autorità, ma poi nel tempo il tutto venne accettato grazie all’evidente successo socio-politico. I tossicomani ebbero meno stress e più igiene nel consumo delle droghe e si raggiunse anche la diminuzione del rischio di contagi AIDS. Un contributo sostanziale per spianare il cammino della nuova politica della droga lo diede anche lo Stato all’inizio degli anni ’90 con la politica “dei quattro pilastri” (prevenzione, terapia, riduzione dei rischi e della repressione). Il problema della droga non è certo sparito, ma non viene più pubblicamente percepito. La “scena aperta” di un tempo è stata confinata “al chiuso”.
Recarsi nei “Centri d’accoglienza e di contatto”, come sono oggi chiamati i “Fixerstübli”, per i tossicomani è parte della loro vita quotidiana. Per loro il locale è diventato un punto d’incontro, dove si sentono protetti e a proprio agio con persone aventi le stesse opinioni, liberi dalla discriminazione e con la speranza remota di uscire un giorno dall’inferno della droga. Chissà.
Gaetano Scopelliti