Bruxelles ha pianto le vittime del terrorismo assassino
È stata una pasqua un po’ così. Non per Francesco, naturalmente. E vorrei ben vedere. Mentre, in Europa e nel mondo, si alzano nuovi muri divisori e i popoli sono tentati di chiudere a spranga l’uscio di casa, Lui, l’uomo di chiesa venuto dal sud del mondo, senza aver dimenticato l’origine italo – alpina dei suoi avi, apre l’animo ai diversi, all’altra metà del pianeta che bussa alle nostre porte in cerca di un rifugio dopo essere sfuggiti dalle miserie dell’odio e della guerra. Eppure, la tentazione di sbarrare la via alle moltitudini di una nuova diaspora planetaria, sta attraendo anche tanta parte di opinione pubblica sinceramente democratica. O almeno quando li assale il dubbio sui valori di fondo con cui hanno costruito il loro avvenire: la casa; la famiglia; il lavoro; la sicurezza; la comune convivenza, in una società civile, libera, tollerante. In tanti attizzano il fuoco perché sia distrutto tutto ciò che vive oltre il nostro orizzonte, Lui, il vescovo romano, chiama a raccolta i giusti e i coraggiosi per spegnere i focolai prima che sia troppo tardi e nulla più rimanga, su questa nostra terra, se non una desolata landa popolata da esseri assetati di odio e dominio. Anch’io, ho vissuto una pasqua un po’ così.
Niente di grave, questo no.
Mi è mancata, tuttavia, quella certa magia che mi accompagnava, in gioventù, e non solo, in particolari giorni dell’anno.
Sarà stato perché, Ursula, alle prese con i postumi del recente incidente domestico, ci ha impedito di muovere verso la Valtellina, dove avrei potuto abbracciare mamma Nilde, che porta il fardello dei suoi novantasei anni, oltre a Etta, mia amata consigliera e sorella, attorniata da figlie e nipoti, saliti, per l’occasione, dalla grande Milano. Sarà perché, quel maledetto televisore, appena lo accendi, non smette di portarti le quotidiane e agghiaccianti notizie dal mondo.
E forse perché hai nostalgia della calda primavera, quando lanci lo sguardo, a ovest, oltre la finestra del balcone e scorgi il volo dei corvi tra i nerastri nuvoloni macchiati di rosso dal sole calante da farmi ricordare una ode del sommo poeta Giosuè: “ tra le rossastre nubi stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar”.
Il grande Carducci, anticlericale e giacobino, difensore degli ideali risorgimentali di Mazzini e Garibaldi, scrisse la lirica in occasione della festa di San Martino. Il contrasto tra l’allegria del borgo e la tetra atmosfera autunnale, quasi un addio del poeta, ormai al tramonto.
E forse un presagio di ciò che la patria italiana subì, dopo la sua morte, nel 1907, nei primi cinquanta anni del novecento. Ho divagato per scacciare la nostalgia della casa natia e il dolore per quanto mi giunge da Bruxelles, la capitale della nuova Europa, avvolta nelle tenebre del terrorismo assassino.
Una città in preda alla paura che scorgi dai volti delle persone che si affrettano verso casa.
Visi in cui leggi il terrore per ciò che è accaduto all’aeroporto o in quella stazione metropolitana in cui ognuno di loro ha più volte preso il treno per la via di casa o per raggiungere il posto di lavoro. Lo strazio dei corpi a indicarti il fallimento dei processi integrativi legati ai valori della convivenza e di pari dignità tra i diversi. A est, nei paesi usciti dal dominio dell’esperienza totalitaria sovietica, si alzano i muri dell’indifferenza e del rifiuto dell’altro.
A ovest, si minaccia la chiusura delle frontiere. Pochi, per una miope forma di egoismo e meschinità umana, si sono accorti che il mostro non è venuto da lontano.
È figlio nostro, della nostra storia fallimentare. Di come abbiamo risposto alle attese dei popoli europei.
Di come abbiamo costruito l’Unione senza far ricorso alle energie che venivano dalla parte migliore della società.
I migliaia di foreign fighters che vanno a combattere nel cratere siriano sono ragazzi dell’Unione che hanno perso ogni speranza nei valori della democrazia e della convivenza. Sono l’immagine vera del nostro fallimento storico e morale. Forse non è troppo tardi per invertire la rotta.
Basta ascoltare la voce di chi, dall’alto di una loggia dell’Urbe, ha lanciato al mondo un messaggio di convivenza e amore.
Oltretutto, non è solo. Anche per chi è laico e libertario per una scelta di vita, è un messaggio non nuovo.
Non chiedere al viandante da dove arriva ma dove vuol andare. E forse troverai tanti amici, in cammino verso una pasqua futura di pace e solidarietà.
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