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8 May 2024
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STORIE di Gianni Farina

Gli schiavi per il ministro Salvini e la mordace risposta del ministro socialista lussemburghese Asselborn

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Venerdì scorso ho osservato, esterrefatto, la performance del nostro ministro dell’interno, Matteo Salvini, al convegno sui migranti di Vienna.

Tendenzialmente, per un po’ di quel sano nazionalismo di cui è ricco ognuno di noi per aver vissuto le strade dell’emigrazione, tendo a simpatizzare per le autorità istituzionali, governative e imprenditoriali italiane in visita all’estero. E d’altronde, rammento l’onestà intellettuale e umana di Alcide De Gasperi, mentre parla ai vincitori della seconda guerra mondiale riuniti per decidere il tracciato dei confini post bellici dell’Italia umiliata e sconfitta. E ancora, nello sport, le imprese di Bartali e Coppi al tour negli anni 48-49, il segno che l’Italia era tornata sula scena internazionale presentando il meglio della sua storia politica e sportiva.

Fu così alcuni decenni or sono – la metà degli anni ottanta – con Carlo De Benedetti, quando sembrò che il manager italiano si fosse impossessato della Sociétè générale du Belgique, l’impero finanziario industriale orgoglio di fiamminghi e valloni.

Rammento la reazione scandalosa dell’establishment locale di fronte a quello che veniva considerato furto e scippo della mafia italiana.

Ricordo l’orgoglio dei nostri compatrioti. Lacrime di gioia. Rivincita sul destino cinico e baro che portò migliaia di nostri compatrioti nelle terre della Vallonia a scavare il carbone sotto terra e morire per i ricchi industriali del Belgio arrogante e colonialista.

Per puro caso in quei giorni mi trovavo a Charleroi per un convegno sulla tragedia di Marcinelle, divenuta simbolo del sacrificio e del lavoro italiano nel mondo.

Mario Ziccardi, uno dei sopravvissuti all’immane tragedia, recentemente scomparso, che rividi poi a Marcinelle ogni otto agosto, sull’attenti al suono della campanella nel ricordo dei 262 morti di cui 136 italiani, si muove qua e là senza darsi pace per non poter salire alla tribuna ad esprimere il sentimento dell’orgoglio italiano.

E noi a consolarlo.

Verrà il tuo turno, caro Mario, e in quel momento alzeremo in alto la bandiera tricolore della patria italiana a cui hai dato il meglio di te stesso nelle terre del nero carbone.

Come tutti i sogni apparsi all’improvviso nel deserto della residuale e umiliante solitudine di quel tempo antico, la rivincita italiana sugli arroganti valloni svanì in poche settimane in un fiume di scherno e spruzzo maleodorante della boulevard presse locale, da rasentare la xenofobia e il razzismo.

E forse, tornando a Matteo Salvini, e per una inedita prima volta, ho provato vergogna e rabbia per le affermazioni di un ministro della repubblica.

So bene che, a tutt’oggi, l’uomo salito dal nulla ad una delle più alte cariche governative della repubblica, gode della fiducia della maggioranza – oltre il 60 % –  degli italiani. Ed io mi domando dove sta l’inizio della disfatta culturale che porta la nostra gente a delle scelte che peseranno a lungo sul destino della nostra patria. Né mi sono oscure le vicende di questi anni.

La sordità, spesso, di una classe politica che ha fatto parte della mia storia di fronte al grido di dolore che saliva da tanta parte del nostro popolo, la più disagiata e sconfitta dalla crisi dell’ultimo decennio. Bisogni inascoltati di più solidarietà, lavoro, equità e sicurezza.

E pur tuttavia, non posso che indignarmi di fronte alla volgarità del linguaggio di un ministro della repubblica mentre parla ad un consesso internazionale di quel livello.

Né scordo, Orban, il premier ungherese in visita a Milano, accolto con gli onori che si riservano ai grandi, bollato, pochi giorni dopo, con il marchio dei nemici della democrazia europea.

Si rivolge, il ministro Salvini, al politico socialista lussemburghese con quel suo linguaggio, un misto di arrogante sicurezza e sottile scherno, tanto popolare in Italia, raccontando la favola degli italiani che vanno incoraggiati a fare più figli, per non dover importare, in futuro, milioni di schiavi addetti ai lavori – presumo – più umili.

Lodevole la risposta del ministro Asselborn: le rammento che milioni di italiani sono emigrati, una parte, pur minima, anche in Lussemburgo. E aggiungo io: non furono schiavi, ma protagonisti del riscatto dell’Italia e del progresso civile e democratico della nostra Europa e del mondo.

Merde!”. Già lo gridò Cambronne, il generale di Napoleone. Fu a Waterloo, contro i perfidi albionici che ordinavano la resa.

Quando ci vuole, ci vuole.

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