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29 March 2024
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STORIE di Gianni Farina

Nell’attesa di un’Italia più onesta e solidale

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L’ impegno di Maurizio Martina, il nuovo segretario reggente del PD

Conosco Maurizio Martina, il segretario reggente del Partito democratico, da almeno un decennio. Lo incrociai nel corso dei tanti convegni che si tennero a Milano nell’autunno del 2001 dopo la sconfitta del centro sinistra.
Erano i primi anni del nuovo secolo, contrassegnati dall’avvento dell’Euro.
Per presiedere al cambiamento che annunciava la nuova sfida unitaria, l’Italia aveva speso il prestigio delle menti migliori operanti nei centri nevralgici della Repubblica, in primis, l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi.
Anni fecondi, contrassegnati dalla vittoria delle forze progressiste, guidate da Romano Prodi, alle elezioni politiche del 1996. E tra alti e bassi, e sino al termine della legislatura – il 13 maggio del duemila uno – con i governi Prodi, D’Alema e Amato. Alti e bassi nella secolare tradizione della sinistra italiana, pronta a dividersi alla ricerca di “un meglio, quasi e sempre, nemico del bene”.
Infatti, come per incanto ritornò un certo Berlusconi con i suoi irrealizzabili sogni nel cassetto. Salvo per la mia squadra del cuore, che amai sin dalla tenera fanciullezza sbirciando la fotografia a colori dell’Unità domenicale – nell’attesa di un Milan- Juventus – dedicata al grande Gunnar Nordahl, il bombardiere rossonero, detto il Pompiere, per la sua stazza da vichingo nordico venuto a devastare i difensori bianconeri sul verde manto dell’allora San Siro.
Lui, Maurizio Martina, preso atto del ritorno dell’imbonitore brianzolo, girava la provincia lombarda annunciando l’unità dei riformisti per un nuovo virtuoso cammino verso la vittoria. Che puntualmente avvenne, nel 2006, con la vittoria dell’Ulivo di Romano Prodi.
Anch’io fui protagonista di quello storico evento..
Come tanti di noi, in Europa e nel mondo, contribuimmo alla nascita del governo ulivista con lo straordinario successo delle liste dell’Unione.
L’ho osservato attentamente, in questi mesi, Maurizio Martina.
È rimasto come allora. Come sempre.
Dalla parlata un po’ così. Talvolta, monocorde e monotona. Sincero sino a tratti di profonda ingenuità.
E pur tuttavia, un politico vero.
Figlio di quella terra bergamasca, i cui abitanti sono stati immortalati nell’opera cinematografica di Ermanno Olmi “l’albero degli Zoccoli.”
Genio. Semplicità. Onestà. Anche nel momento in cui il bracciante, per un estremo bisogno, abbatte il pioppo sul bordo del canale per costruire gli zoccoli del figlioletto, essenziali per la frequentazione della scuola lontana 6 chilometri.
Pagherà un prezzo altissimo, per l’atto: la cacciata dalla cascina. Un avvenire ignoto per tutta la famiglia. C’è, in Maurizio, la nobiltà della dignità. Che continua a vivere e germogliare al primo tiepido sole, come insegnò il nonno alla piccola in cascina, se è ricco del calore proveniente al di là del muro ove uomini e animali vivono, spesso, l’uno accanto all’altro, il lievito della vita. Come possa, un uomo ricco di una sua indubbia e mite intelligenza, resistere agli avvoltoi che svolazzano sul corpo ferito del Partito Democratico, Dio solo lo sa.
Lui cerca di evitare il disastro: l’avvento del governo reazionario della destra egemonizzato da Matteo Salvini, il più perfido dell’alleanza giallo-verde. Intavola un serrato negoziato con il movimento 5S in cui si sono rifugiati milioni di elettrici ed elettori delusi dal PD. Ma viene impallinato a sera dall’ex segretario, dimissionario per finta e per caso.
L’intervista a Fazio per seppellire le residue speranze di sbarramento all’eversione razzista nel nome di una opposizione, rigorosa intransigente, al nulla che verrà. Nel frattempo, Maurizio Martina, perpetua la reggenza. Sino a quando, non si sa. Se non che al peggio non c’è limite, nell’attuale PD, il Partito a cui ho dato e darò il meglio del mio impegno civile e democratico.
Eppure, non tutto è ancora perduto. Da laggiù, da quella straordinaria comunità cittadina, già patria, assieme alla mia Milano, dell’illuminismo che rischiarò le tenebri del feudalesimo, è salito verso Roma un novello Masaniello – Roberto Fico, presidente della camera- che suona uno strumento amico.
Musica per i nostri orecchi.
Solidarietà. Diritti. Doveri di accoglienza. Sentimenti di condivisione per chi ha bisogno.
Da dove sei venuto, barbuto napoletano? Sulla sponda del Tevere troverai sempre qualche Maurizio con cui proseguire il cammino. E chissà che il sole della civile convivenza tornerà ancora a riscaldare i nostri sogni.

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