Quante volte ci sono passato da Manduria. La notte nel buio della strada che procede in una campagna vasta e buia. Ci passo per andare al mare. Da Sava a Porto Cesario c’è un itinerario obbligato. Passi da Manduria, Avetrana. Da giovane mi recavo in quei posti con il mio amico Dino un “uomo senza frontiere” così lo chiamai in un pezzo che scrissi dopo la sua morte. Ebbe tutti gli onori al Campidoglio. Chissà oggi cosa penserebbe di questa assurda situazione. Negli anni ’80 a Manduria ci andavamo per organizzare le lotte contro la centrale nucleare. Il territorio tra Manduria ed Avetrana era stato indicato uno dei possibili siti in Puglia, l’altro era Carovigno, verso Brindisi. Tutta la popolazione ci accoglieva come eroi e ci riempiva di primitivo come otri. Noi pronti ad organizzare i blocchi e la protesta. Vincemmo. Il profumo di macchia mediterranea lo sento ancora quando passo di lì ed una puntatina a Punta Prosciutto a mostrare la sabbia bianca alle mie figlie non manca mai. La campagna sulla sinistra è un lungo deserto costeggiato da un lungo ed inspiegabile muro, forse sarà stato quel muro a far scegliere la localizzazione della tendopoli. Manduria terra del Primitivo… Oggi terra dalla quale si odono voci che gridano “Libertè”. Cavalleria in azione e popolani che guardano increduli all’arrivo di autobus su autobus. Gli alberi assaliti per la fame silenziosi annuiscono come le mucche nella carica dei 101. Hanno voglia di vita questi giovani, la stessa che avevamo noi quando incuranti della Polizia – spesso consenziente con quello che facevamo -, ci inventavamo di tutto per bloccare la centrale. Nessuno poteva e nessuno riuscì a fermarci. La campagna ci accoglieva nel suo buio rassicurante, complice la luna. Ci dicevamo, sotto il consiglio del vino dei nostri ospiti (17 gradi), e sotto le tende in cui eravamo accampati: “non permetteremo che i nostri figli debbano avere una centrale nucleare in questa terra”. La mattina eravamo leoni e con gli agnelli della polizia (che in fondo era d’accordo con noi), giocavamo ai buoni e cattivi interpretando le parti alterne rotolandoci come zingari felici e facendoci male …poco…come si fa tra buoni amici a tra fratelli. Le matrone di Manduria fecero la differenza e fecero arretrare la celere. Poi andammo sotto la Regione la assediammo e tutto rientro. Dino si prese due schiaffi veniali dai potenti di Avetrana che si beccarono decine di uova lanciate da una folla di cittadini determinati. Sembra il Medioevo ma era soltanto ieri. Oggi a Manduria, Lampedusa, stessi rituali con argomento identico: la voglia di Vivere che urla ed è più forte di qualsiasi esercito. L’Europa ci chiude i cancelli il mare li apre e trasporta vita che non si arrende. Il Nord è ormai nel panico e teme invasioni incontrollate. Noi al Sud siamo poco prudenti e se vediamo che qualcuno ha fame montiamo un’altra pentola senza esitare. Ma le tende, vuote e sconfinate sono il simbolo dell’incapacità. Le nostre erano le canadesi da campeggio, queste sono caserme cocenti che avviliscono chiunque. Vedo una sagoma aggirarsi tra i viali artificiali. Ha occhiali spessi ed un mozzicone acceso. Dita gialle e sguardo pronto all’ascolto. Sembra quasi che parli a quei giovani e racconti loro le giornate di Manduria. Le mura messapiche offrono riparo e sento che la discussione ha toni pacati, a volte allegri. Questi giovani non conoscono il Primitivo, ma non sanno quali magie riesca a compiere. Il sole scende a tingere le orlate figure di torri saracene, vigili sul mare. Le cicale sono la colonna sonora di questo tempo, dal mare giunge un afrore che sa di vita. Un signore si avvicina al campo con una enorme forma di pane. Ha il volto scavato dal tempo, si avvicina ai ragazzi e parlando loro in un misto tra tedesco e dialetto leccese, comincia a raccontare la sua storia di oltre 30 anni passati a lavorare come gessino in Svizzera. Loro non lo capiscono ma stanno a sentirlo come se fosse tutto chiaro. Non è la lingua è il cuore che parla.
Massimo Pillera
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