Tanti vivono in Francia, pur avendo conservato la nazionalità italiana. Furono migliaia quelli che, spontaneamente, si aggregarono alle forze francesi nel 1914.
La grande storia dei garibaldini tra l’Arco di trionfo a Parigi e Bligny, nella valle della Marne. Ogni sera, alle 18.30, a partire dall’11 novembre 1923, la fiamma del soldato ignoto brilla all’Arco di trionfo. E tutte le sere, alle 18.30, a partire dal 1999, Eugenio Locatelli , nell’afa estiva come nel rigido periodo invernale, è presente alla cerimonia di saluto. Un particolare mercoledì, l’uomo di 77 anni, riconoscibile per i folti baffoni che ornano un viso ricco di passione e orgoglio italiani, con il suo francese un po’ macaronì, dirigeva i neofiti pervenuti da ogni parte dell’esagono in visita all’altare della patria amica, assicurando, nel contempo, un discreto servizio d’ordine. Mesto appello ai morti in guerra, su quelle volte imponenti erette a imperitura gloria dei caduti e in cui si sono celebrate tante ricorrenze contrassegnate, generalmente, da una breve allocuzione di saluto, dalla deposizione delle corone, dal canto della marsigliese, l’inno rivoluzionario della Francia da oltre un secolo.
Eugenio Locatelli non ha la nazionalità francese, non ha mai ritenuto necessario chiederla per sentirsi un vero patriota, anche se d’adozione. È parte del pugno di fedeli riuniti in seno al comitato della fiamma, incaricato di organizzare l’omaggio quotidiano al luogo sacro del patriottismo di ogni nazione. Ogni sera, Eugenio è là per far onore al suo grande nonno. Nel corso della prima guerra mondiale, nel 1917, il nonno di Locatelli fu ucciso al fronte sulle rive del Piave. In seguito, nella seconda guerra mondiale, il padre di Eugenio fu inviato dal regime fascista di Mussolini sul fronte russo, ove fu fatto prigioniero dall’armata rossa. Eugenio emigrò in Francia nel 1956, a 19 anni, per sfuggire alla miseria della sua terra uscita umiliata e sconfitta dall’avventura totalitaria. Lavoratore metallurgico nella regione parigina, sindacalista militante, si è fatto largo nella vita grazie alla sua onestà morale unita all’impegno nel campo sociale e politico. Tenere alta la testa, ovunque e comunque, questo il suo motto.
In sintesi, si potrebbe dire trattarsi di una banale storia italiana e francese. Un po’ identica e un po’ differente dalla storia del porta bandiera, Michel Bernier, un anziano ristoratore di bistrot, originario della Bretagna. Identica e diversa, allo stesso tempo, a quella del vice presidente del comitato della fiamma, dal nome che tradiva la sua origine ispanica, Roland Palacio. Una storia universale, finalmente. Un destino oscuro, di persone sballottate qua e là nel travaglio del tempo, eroi malgrado loro, come il povero ignoto defunto sepolto sotto l’Arco, che potrebbe persino essere il suo grande nonno Maurizio. Nostalgia e memoria assieme, quella volontà, invitta negli anni, di essere là ogni sera a ravvivare la fiamma sacra. È per questo che Eugenio è membro del circolo dei garibaldini. Egli ha aderito all’associazione nel 1970, a Parigi.
Garibaldi ha sempre fatto parte della famiglia, afferma. Sono originario di Bergamo, si giustifica e senza che sia necessario, l’anziano emigrato. La città fu liberata dal dominio austro ungarico nel 1860 dagli eroi del risorgimento. E Bergamo fornì all’armata garibaldina delle camice rosse, liberatrici della Sicilia e di tanta parte dell’Italia, il contingente più combattivo e coraggioso. Per i membri dei garibaldini parigini, come Eugenio Locatelli, Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, nato a Nizza nel 1807, educato agli ideali repubblicani francesi, è il ponte tra due identità e due nazionalità. Il grande patriota trasmise ovunque la sua cultura francofona e la sua discendenza. Nel 1914, nel mentre il giovane stato italiano rifiutò, inizialmente, di partecipare al conflitto, migliaia di volontari , condotti da sei nipoti di Garibaldi, si arruolarono nell’armata francese. Integrarono, all’interno della legione straniera, il quarto reggimento d’attacco che fu battezzato come legione garibaldina.
Fine della 1° puntata.
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Storie dell’On. Gianni Farina
Tra passato e futuro
1914 – 2014
I cento anni dei garibaldini italiani in Francia tra storia e memoria
Più della metà di questi uomini erano italiani installati in Francia, parte di quelle centinaia di migliaia, forse un milione, di nuovi emigrati.
I nuovi immigrati furono sovente oggetto di vergognosi atti di ostilità e odio, come testimonia il precedente massacro dei lavoratori delle saline d’Aigues Mortes, nel 1893.
Ma ciò non impedì loro di integrarsi e impegnarsi in ogni momento di lotta per la libertà.
Tra i componenti del reggimento garibaldino del 1914 figurava, Lazare Ponticelli, morto nel 2008, a quasi cento undici anni.
Con particolare ironia, questo rital, come vengono, ironicamente, definiti gli italiani in Francia, fu ritenuto un combattente col dono di Achille, un immortale senza il tarlo del piede fatale. ( Povero Ettore, a non essersene accorto )
L’anziano immigrato italiano ebbe diritto a dei funerali di stato, alla presenza dell’allora presidente della repubblica francese, Nicolas Sarkozy, e delle massime autorità cittadine.
Lazare Ponticelli e la legione garibaldina subirono, nell’inverno 1914-1915, una grave sconfitta nell’Argonne.
Due nipoti di Garibaldi, Bruno e Costante , morirono da eroi in combattimento.
I loro corpi furono rimpatriati a Roma e sepolti in pompa magna. Il loro sacrificio divenne un forte strumento di propaganda per gli interventisti.
La legione garibaldina fu, tuttavia, dissolta dallo stato maggiore francese, che non sopportava un certo spirito anarchico dei suoi componenti.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, i garibaldini, all’interno del battaglione delle armi, si distinsero nella lotta contro l’armata austro-ungarica.
Nel 1918, i componenti del battaglione, sopravvissuti alla guerra, rientrarono in Francia, integrando, in tal modo , il corpo di spedizione italiano, forte di 40.000 soldati.
Uno dei soldati si chiamava Curzio Suckert, che cambiò il nome un po’ troppo tedesco in Malaparte e di cui era già nota la sua straordinaria esperienza politica e umana .
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Gli italiani si distinsero particolarmente a Bligny, presso Reims, nel corso della seconda battaglia della Marne.
Mostrarono un coraggio e un’ incredibile bravura, meriti riconosciuti anche dai commilitoni francesi.
Les macaronis si sono ben comportati, scriveva, un soldato francese, ai suoi famigliari.
Si sono fatti uccidere, eroicamente, sul fronte di combattimento.
In totale, più di 5000 soldati transalpini, soccombettero sul suolo francese.
Il cimitero italiano di Bligny testimonia il grande tributo di sangue dei nostri connazionali.
Giovanni Facella, Domenico Vigo, Michele Forese, Vincenzo Vitale, Giuseppe Boero, fra i nomi degli emigranti senza ritorno tra le più di tremila croci e i quattrocento corpi non identificati sepolti nell’ossario.
Tutto attorno al cimitero, nelle giornate di primo ottobre, uomini e donne sono impegnati nella vendemmia per il novello Champagne. E forse, dalla nobile terra arriva un sospiro: un verre pour la paix e così sia.
Michel Sicre, 63 anni, sindaco di Bligny, veglia sui suoi 130 amministrati e sulle migliaia di uomini, francesi tedeschi, britannici, italiani, tuttora indimenticati defunti del cimitero della memoria.
Il suo villaggio fu conquistato e perduto una dozzina di volte la primavera e l’autunno del 1918.
Al suo fianco un vecchio conoscitore di storia mostra delle foto d’epoca con il villaggio totalmente distrutto nel corso dei combattimenti.
Questo anziano agricoltore, oltre aver subito la distruzione della fattoria famigliare, perse, allora, i nonni.
Nella mia infanzia, dice, non ho sentito parlare che di guerra.
Ancora oggi, il sindaco è chiamato, cinque o sei volte all’anno, per il ritrovamento di un ordigno inesploso o una spoglia mortale.
La guerra ha impregnato il suolo e le memorie di ognuno.
Regolarmente e in ogni stagione, dei turisti italiani, o figli di immigrati, vengono al paese e in municipio per chiedere delle informazioni, notizie del passato.
Fine della 2° puntata.
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Storie dell’on. Gianni Farina
Tra passato e futuro.
1914 – 2014
I cento anni dei garibaldini italiani in Francia tra storia e memoria
Ogni anno il circolo dei garibaldini organizza la cerimonia di Bligny.
I membri si raccolgono davanti al monumento che immortala i volontari del 1914.
Altrettanto avviene davanti al monumento, eretto in omaggio alla legione garibaldina, al cimitero di Pere Lachaise, a Parigi.
Fu inaugurato nel 1934, alla presenza del maresciallo Petain e dell’ambasciatore italiano in Francia.
Tra loro, Ezio Garibaldi, uno dei volontari del 1914, che si era aggregato al regime totalitario fascista.
Epica epoca, il trentaquattro, periodo in cui, Mussolini, tenta di recuperare la mitologia garibaldina.
Esistevano allora, in Francia, tre associazioni garibaldine concorrenti.
L’una fascista, l’altra della memoria e la terza antifascista.
Quest’ultima, fornì migliaia di combattenti ai repubblicani spagnoli e si distinse, poi, nella resistenza.
Di essa, faceva parte un altro nipote di Garibaldi, Sante, che si batté nell’Argonne, e entrò nell’esercito francese nel 1940. Divenne poi resistente, fu catturato e deportato a Dachau.
Sopravvisse e si installò, per il resto della sua vita, in prossimità di Bordeaux.
Dopo la guerra, il circolo dei garibaldini, ancora molto influente , sia a Parigi come in altre grandi città dell’esagono, si impegnerà nel campo della sinistra e aiuterà gli immigrati ad integrarsi nella società francese.
Philippe Giustinati, l’attuale presidente del circolo, è impegnato a reggere la gloriosa eredità garibaldina.
A 54 anni, questo artigiano del Gard, assicura ogni settimana una permanenza al seggio dell’associazione, a rue de Vinaigriers, nel 10° arrondissemant di Parigi.
Una sede incredibile, allo stesso tempo calorosa e fuori dal tempo, colma di foto e di busti garibaldini, ma pure di altri protagonisti del tempo che fu, come la passionaria spagnola Dolores Ibarruri, o eroi della resistenza italiana.
Ogni settimana, i vecchi garibaldini si incontrano per un bicchiere dell’amicizia, e quasi sempre, per dibattiti appassionati sulla situazione politica del presente e degli avvenimenti del passato. Philippe Giustinati è il nipote di un antifascista italiano, Tancredi.
Dopo l’arrivo di Mussolini al potere, le camicie nere entrarono nel bar di Tancredi, presso la città di Brescia, imponendogli a forza il rito salvifico dell’olio di ricino e coprendolo di insulti e botte.
Tancredi chiuse l’attività, fuggì dall’Italia e si installò in Lorena, a Blenod les Pont a Mousson, con la famiglia.
Durante la seconda guerra mondiale, il figlio Gelsomino, rifiutò di essere incorporato a forza nell’esercito italiano.
Tancredi e Gelsomino parteciparono alla resistenza come staffette.
Nella cucina di famiglia troneggiava il ritratto di Garibaldi, racconta Philippe Giustinati.
Per un raro privilegio, il circolo dei garibaldini parigini è proprietario della sede.
Fu offerta negli anni sessanta da Cino Del Duca, editore e produttore cinematografico.
Una fortuna, poiché il centinaio di iscritti all’associazione non sarebbero in grado di garantire il pagamento dei salati affitti della capitale.
Vestiti con le loro camicie rosse, partecipano a ogni cerimonia, a Bligny, a Per Lachaise o all’Arco di trionfo.
Ma aldilà delle ricorrenze della memoria, e dell’aspetto che potrebbe apparire folcloristico, cercano, con ogni mezzo, di perseguire gli ideali garibaldini.
Sostengono le lotte contemporanee contro il razzista Dieudonné o per i sans-papiers.
Noi perpetuiamo gli ideali della lotta antifascista, afferma Giustinati, che ha aderito al circolo garibaldino all’età di 12 anni, portatoci da un amico di famiglia , il leggendario Dario Maffini, suo predecessore, eroe della resistenza parigina, morto a quasi cento anni e di cui ebbi l’onore di celebrarlo al cospetto delle massime autorità della città.
Alla stessa età, si è poi iscritta la figlia Olivia.
Cerco di propugnare, afferma la giovane infermiera, oggi ventenne, i valori umanistici e solidali e di insegnarli alle nuove generazioni.
Pertanto, la memoria garibaldina, che fu così forte nella memoria degli immigrati italiani, si è affievolita.
Forse, anche per effetto di un’ integrazione assimilatrice riuscita.
Delle centinaia di migliaia di volontari, emuli degli ideali garibaldini nel periodo tra le due guerre, ne restano poche decine.
La dura legge del tempo ha scavato un’ incolmabile fossa.
Tocca a noi recuperare la memoria di questi nostri eroi, che rimarranno, per sempre, il patrimonio più limpido dell’emigrazione italiana in Francia.
Fine.