La scoperta è stata fatta dalla dottoressa Jessica Ruas Quartara, portavoce dell’Università di Ingegneria e Tecnologia di Lima (Perù)
Tra le tante ipotesi fatte sulla sparizione dei Maya una sembra essere plausibile, quella della siccità, che spiegherebbe non solo la sparizione di intere popolazioni, ma anche la rapidità con cui è avvenuta. Si capisce perché la notizia della scoperta di speciali pannelli che producono acqua potabile sia stata accolta con grande interesse e perché anche molti Paesi siano interessati ad utilizzarla. Il pannello che produce acqua potabile è stato inventato dalla dottoressa Jessica Ruas Quartara, portavoce dell’Università di Ingegneria e Tecnologia di Lima, capitale del Perù.
Diamo a lei la parola: “Il progetto è nato dall’esigenza di fronteggiare le necessità quotidiane della popolazione che vive a Lima, una città che, pur ospitando otto milioni e mezzo di abitanti, è situata in una posizione sfavorevole per quanto riguarda gl’insediamenti umani. Il clima è assai poco piovoso: cadono meno di due centimetri di pioggia all’anno. E il terreno è desertico, quindi c’è pochissima acqua potabile. Sentivamo allora la necessità di sviluppare progetti tecnologicamente avanzati per riuscire a migliorare questa difficile situazione, specialmente a favore degli abitanti dei villaggi alla periferia di Lima, che più di altri soffrono di questo problema. L’idea quindi di costruire un pannello capace di produrre acqua potabile è nata sulla base di una considerazione effettuata dai meteorologi. A Lima cade pochissima pioggia ma l’aria è molto umida. A quel punto ai nostri ingegneri spettava il compito di trovare il modo di catturare le minuscole goccioline di vapore acqueo sospese nell’aria, quelle che determinano il grado di umidità dell’aria, e farle diventare acqua da bere. Quindi, dopo avere osservato che i cartelloni pubblicitari sulle strade erano costantemente coperti di una patina bagnata per l’umidità accumulata sulla superficie, ci si è posti il problema di come catturarla e renderla bevibile”.
Il pannello è grande circa quattro metri per tre, e cattura l’umidità dell’aria come se fosse una spugna, grazie a delle minuscole cellette che la imprigionano. Insomma, il pannello è un raccoglitore di acqua che viene lasciata poi cadere in cisterne che l’accumulano. E’ chiaro che il problema successivo è stato come purificare l’acqua raccolta. Infatti, l’acqua è piena delle sostanze chimiche che formano l’inquinamento atmosferico, berla vorrebbe dire intossicarsi e mettere a rischio la salute di chi la beve. Poi, bisognava risolvere un altro problema ancora: l’eliminazione di germi nocivi alla salute.
Il primo problema è stato risolto mediante l’uso di speciali filtri di purificazione che separano le sostanze tossiche dall’acqua potabile. Il secondo problema è stato risolto grazie ad un’apparecchiatura a raggi ultravioletti, come quelli prodotti dal sole.
Ecco la spiegazione della dottoressa Jessica Ruas Quartara: “Tali raggi, se usati in maniera concentrata, uccidono batteri e microrganismi nocivi per la salute, senza provocare inquinamento di alcun genere: questo processo di disinfezione dell’acqua ha il grande pregio di non richiedere l’uso di sostanze chimiche. Quello che resta nelle vasche è acqua fresca e pura, cui si può attingere gratuitamente grazie ad un rubinetto”. Il pannello riesce a produrre circa cento litri di acqua potabile al giorno: un po’ pochino, è vero, aggiunge subito la dottoressa Jessica Ruas Quartara, ma quel che conta è che si possono utilizzare più pannelli, anche perché non costano molto (circa un migliaio di euro) e poi anche perché sono già in tanti i Paesi che hanno richiesto il pannello. In sostanza, la struttura interna del pannello – quella che permette di raccogliere e purificare l’acqua – costa poco e se ne possono fare molti tanti quanti rispondono alle necessità.
Facciamo concludere alla dottoressa Quartara che illustra chi lo ha richiesto e con quali scopi: “Abbiamo avuto richieste da tantissimi Paesi, come l’Iran, la Russia, il Ghana, il Messico, ma anche l’Europa è interessata, soprattutto la Spagna. Infatti, sappiamo che alcune zone dell’Europa, in particolare quelle che si affacciano sul Mediterraneo, sono afflitte da periodi di siccità. Insomma, questo sistema potrebbe essere utile anche in queste regioni, al fine di evitare il trasporto di acqua con cisterne o il ricorso ai razionamenti, che creano evidente disagi alla popolazione. Abbiamo voluto dimostrare che la ricerca e la Scienza possono aiutare a risolvere problemi reali. E riteniamo di esserci riusciti grazie all’impegno di tutto il personale che ha lavorato con grande impegno a questo progetto”.
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