Una pioggerellina salvifica irrora il verde appena apparso sugli alberi spogli dopo il lungo letargo invernale. Quasi che, a ogni goccia, una nuova gemma sia nata a rinnovare il miracolo di una natura violentata dall’incuria e dalla dissennatezza dell’uomo.
È Pasqua. Ritorno per un attimo alla mia gioventù.
Ricordo le processioni serali del venerdì Santo con il Cristo morto lungo l’impervio sentiero attraverso cui raggiungere le due chiese: la parrocchiale, imponente e altera, eretta sullo strapiombo della valle del Livrio e quella di Caiolo alto, modesta e sonnecchiante, nel mezzo della sua contrada.
Le giovanette del villaggio vestite di un bianco luccicante alla fioca luce delle candele e noi, ragazzacci birbanti, a disputare su chi fosse la più bella.
Chissà quanti amori sono nati in quei fuggevoli sguardi?
Quanti amori e sogni infranti nel corso periglioso di una vita?
Già: è Pasqua.
Francesco, il figlio di montanari delle alpi del grande Piemonte, emigrati nella terra del Gaucho, saluta il mondo dalla vetrata centrale della Basilica romana con parole colme di pietas per i travagli dell’umanità.
E forse in quell’attimo, settecento derelitti, sopravvissuti alla traversata del Sahara e alla violenza dell’onda, sono accolti sulle navi della misericordia della marina italiana.
Grazie a voi, marinai e angeli portatori dell’umana solidarietà! Settecento sono salvi.
Altri centinaia troveranno la pace all’incontro con i loro fratelli nel profondo del mare.
Alcuni di quelli che non ce l’hanno fatta sono allineati sulla spiaggia in attesa di una pietosa sepoltura. Il sindaco di Tarsia, Roberto Ameruso, un comune della provincia di Cosenza, ha proposto di accoglierli tutti in un cimitero costruito appositamente in quel villaggio che ospitò, nel tempo della guerra, il più grande campo di concentramento di ebrei stranieri, slavi e zingari di ogni provenienza, a Ferramonti, la cui storia è stata mirabilmente raccontata da Pino Ambrosio attraverso il ragazzo emigrato che incontra suo padre, per un meraviglioso gioco del destino, nel chiacchiericcio di un viaggio in taxi tra l’aeroporto e la città sulla Limmat.
È Pasqua. E come appare, non per tutti.
Ricordo l’asfissia e i volti gonfi dei bimbi siriani di Khan della provincia di Idlib, a cui è mancato il respiro catturato dal gas SARIN, il tossico serpente dell’Ade.
Appena nati, cadono vittime dell’odio infernale che attanaglia l’umanità nella contesa di un Dio che nessuno ha mai visto né udito.
È Pasqua. Per raccontarci la storia di un uomo che visse e morì predicando un mondo diverso, di uguali.
I discepoli, trovando la tomba sguarnita, pensarono fosse risorto.
Un mistero, che oggi né mai troverà la risposta se non in poche e limpide sillabe: amore.
Eppure laggiù, a Rashideen, un sobborgo di quello che resta della storia millenaria di Aleppo, l’amore è macchiato dal sangue dei bimbi annientati dalle schegge omicide di chi ha tradito il suo popolo e l’intera umanità. AL Jazeera, la televisione araba del Qatar, inquadra la disperante immagine di Abd Alkader Habak, il giornalista inginocchiato sui resti del piccolo a cui ha cercato di salvare la vita. E tutto attorno una scena di distruzione, di guerra e di morte. Il viaggio di migliaia di uomini, donne, bambini, verso una nuova speranza, arrestato dall’esplosione che ha lasciato sul terreno più di cento vittime e settanta imberbi infanti.
È Pasqua. Eppure, da tanta parte del mondo, il suo messaggio appare inascoltato.
Donald Trump, il nuovo presidente americano, non trova di meglio che scagliare sul deserto afghano, infestato dai talebani, la Moab,( Mother of all bombs ) trilioni di tonnellate di tritolo – quasi una bomba atomica – per distruggere le gallerie ove, presumibilmente, sono annidati i terroristi.
Il risultato è incerto. Il costo di una sola bomba, una realtà: 16 milioni di dollari con cui si potrebbero costruire tanti ospedali per le vittime dei disastri naturali e delle guerre fratricide.
A Trump, Putin, Xi Jinping, al matto di Pyongyang, ai governanti tutti: fermatevi.
Forse, non tutto è perduto per salvare l’umanità.
Il pianto di quell’uomo inginocchiato sul bimbo morente, a Rashideen, è il più aderente al sacrificio di Gesù il Nazareno. È Pasqua.
Che sia pace in terra agli uomini di buona volontà.
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