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25 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

Dagli schermi pubblici e privati un miserevole, perpetuo, ripetitivo spettacolo serale

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Nell’attesa del verdetto elettivo del 4 Marzo 2018

Che lo spettacolo inizi.

La7 presenta ad ogni martedì il meglio del suo palinsesto, come a dire, la messa cantata del dì di festa.

Ricorderanno, i vecchi come lo scriba, il fervore di ogni mattina nelle case modeste e austere dei villaggi italici in una domenica qualunque del giorno del signore nei lontani anni cinquanta.

Il tinello con l’acqua calda per una salutare ripulita ai pargoli, rispettando accuratamente la precedenza in base all’età.

Quando erano numerosi a calarsi, progressivamente, nel calduccio dell’acqua, lascio immaginare le smorfie dell’ultimo della fila da far dire al nonno, già in ghingheri con il suo vestito di fustagno color nero, il borsalino calato in testa un po’ di traverso ed il solito panciotto, nel cui taschino nascondeva l’ultimo tozzo di toscano sottratto, per l’occasione, alla nonna distratta: bisognerà lavare il piccolo dopo il tuffo in quella cloaca.

Vabbè. Che la festa cominci!

Che meraviglia, quelle messe cantate in latinorum, accompagnate dal suono dell’organo, obbediente alle mani creative del maestro Del Togno.

Pochi conoscevano il significato del canto. Ognuno, in primis i cantori negli scanni più alti, levava al cielo, invocando, nel fumo violaceo dell’incenso, l’aiuto dello spirito santo racchiuso in un sentimento di gloria e d’amore.

Settanta anni, o giù di lì, e siamo alla messa serale della concorrenza mediatica.

Il buon Floris a dominare la scena, ben vestito regimental, l’eterno, smagliante sorriso di chi è sicuro di sé, e attorno, il gota del giornalismo italiano con qualche, inattesa e gradita presenza, a commentare e predire l’accaduto e ciò che accadrà.

Per l’occasione, trattasi di Mario Monti, l’austero guardiano a difesa del patrimonio che fu del governo da lui presieduto, compreso il retaggio non proprio virtuoso, di lacrime e sangue della legge Fornero.

Non sempre si può convenire su tutto il suo dire, ma, al cospetto dell’imbelle pierino stellato Di Maio, che ghigna con fare birbante e sprezzante ad ogni suo pur serio pensiero, scavalco, d’un balzo, gennaio e febbraio per assistere, con fare sommesso, alla possibile se pur sciagurata scena del 4 di marzo prossimo venturo.

Parla da futuro presidente del Consiglio, l’imbelle, con risposte studiate a memoria a domande, pertinenti e attuali, dei critici Franco e Giannini.

Volete o no restare nell’Euro? Sì, ma, si vedrà.

Difendete l’Unione europea? Sì, ma, si vedrà.

Siete per l’obbligatorietà delle vaccinazioni? Sì, ma. Forse sì e forse ma.

Dite di voler presentare, pima delle elezioni, la nuova compagine di governo? Chi sono? Domandano, incalzanti, i giornalisti presenti nel salotto dei passi perduti.

Naturalmente! Risponde il giovanotto, indicando qualche nome che fa sorridere gli invitati tra gli applausi a comandi della claque invitata allo spettacolo dei fratelli De Rege.

Vieni avanti, cretino! L’appello di Campanini al grande Walter Chiari.

Un nome che è, di per sé, garanzia di un forte successo, non so in quale ruolo, se non alla guida delle comunicazioni, in un tempo che fu, il famigerato Minculpop, o Ministero della Cultura popolare.

Parliamo del sig. Paragone, già direttore della Padania, il quotidiano dei duri e puri, i celti con le ampolle del fiume patrio Po, con cui il celtico si abbeverava come il viandante ebreo della patria perduta dell’Aida verdiana.

Ha percepito il vento, il furbo scribacchino degli editoriali per la secessione ed è saltato sul carro del presunto trionfante dopo aver, sapientemente preparato il balzo in quelle sue storiche e teatrali perditempo serali.

Schifato da tale sconcio, spengo la tele e me ne vado a dormire.

Il giorno seguente è certamente ancora più triste.

Quattro operai morti per le esalazioni di gas mentre pulivano quei   maledetti forni ove si annida il mostro che uccide.

È una guerra. Una quotidiana, terribile guerra.

Che lascia cuori perduti nell’immensità del loro dolore: padri, madri, figli dall’incerto avvenire e senza che ognuno di loro venga poi ricordato da un mondo folleggiante nella sua quotidiana pazzia.

Che ne è di quell’articolo della Costituzione repubblicana che mette al centro della sua fondazione costitutiva, la democrazia e il lavoro?

Il lavoro come cultura, ricchezza del vivere, creazione, solidarietà, partecipazione.

Nel loro ricordo, un mio commosso pensiero.

Scusateci, cari amici. E che vi sia leggera la terra.

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