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21 November 2024
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STORIE di Gianni Farina

La Russia che non ti aspetti tra storia e modernità 

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Russia 2018: serate magiche aspettando un gol

Non passo i pomeriggi e le serate davanti al piccolo schermo per assistere alla sacra messa laica di undici giovanotti in mutande che danno calci ad un pallone.

E tuttavia, qualche volta mi accade.

Se gioca il Milan in Europa inseguendo i sogni di Paolo Maldini e Franco Baresi, accompagnati nello scatto dai tulipani volanti, Van Basten e Rijkaard,  con l’aggiunta preziosa del magico Gullit.

Storia del tempo che fu.

Nostalgia pura mentre scorrono le immagini  di uno straordinario Francia – Argentina contrassegnato dalle folate sulla fascia di un nuovo dio del vento, il diciannovenne  Mbappé, che ha ucciso le ambizioni biancocelesti, i miei favoriti, non solo per la presenza di Lionel Messi, ma pensando a quella terra lontana ove approdarono, nel corso di due secoli, milioni di italiani in cerca di una pur minima possibilità di progresso e rivincita  da una condizione povera e derelitta dell’Italia del tempo.

Quello che più mi ha impressionato, del pomeriggio calcistico, oltre la bellezza dello scontro sportivo, è stato il vedere quelle tribune festanti di popolo partecipante e gioioso. Ognuno di loro con i sogni racchiusi nello scrigno di qualche casetta della Gironda e della Borgogna. O nelle dimore dei vacheros della pampas Argentina, che fu, per noi italiani, la terra da cui arrivò il grano e il pezzo di carne per sfamare il folco della Patria, uscita umiliata e sconfitta dalla avventura totalitaria della guerra imperiale.

Popolo festante, dicevo, ben diverso dai frequentatori tradizionali delle domeniche pallonare italiane: il clima di guerra, prima e dopo partita, i lacrimogeni a dividere i contendenti, i danni al bene pubblico e privato delle nostre città.

Sta avvenendo un miracolo in quella Russia troppo grande per il piccolo uomo.

Un immenso paese, alquanto misterioso, generalmente percepito come una minaccia, anche se nel tempo del ferro e del fuoco ha lasciato sul terreno venti milioni di morti per annientare la belva nazista che voleva dominare e l’Europa e il mondo. Si è presentato con tutto lo splendore dei suoi impianti sportivi costruiti a regola d’arte, con il senso del gusto, senza gigantismi, a misura d’uomo, e la magica bellezza delle sue città, non solo San Pietroburgo e Mosca.  Penso a Kazan, Ekaterinburg, e quella Kaliningrad, eretta come una regina del faro a controllare i navigli che salgono il baltico verso i porti delle piccole repubbliche ex sovietiche o delle capitali degli storici stati scandinavi.

Kaliningrad, già konigsberg, la città di Kant e di quei prussiani orientali, i primi a percorrere le immense pianure della madre Russia. Il sogno infranto sta nel nuovo nome.  Non ha, tuttavia, cancellato le tracce della storia ed il lascito sapiente del suo più grande cittadino.

Grazie, Kaliningrad, che hai assistito al match Serbia – Svizzera con il disincanto di una grande storia, per dover scandalizzarsi alla tenzone di alcuni baldi giovanotti rossocrociati a cui non è parso vero di provocare gli odiati serbi, colpevoli, ai loro occhi, di ogni misfatto nelle terre desolate della ex Jugoslavia.

Parlo di Xhaka e Shaqiri, delle loro gesta, frutto, con tutta evidenza, del clima vissuto all’interno delle loro famiglie in Svizzera, la nazione che accolse i loro padri e nonni sfuggiti alla miseria della guerra fratricida. Lo appurai visitando la Bosnia Erzegovina e Sarajevo nel lontano duemilasei, appena eletto nel parlamento repubblicano, come delegato alle prime elezioni democratiche in quella terra martoriata e umiliata dalla cattiveria umana.

Vorrei chiedere ai due immemori portatori della maglia rossocrociata di sotterrare l’ascia di guerra e lasciare al severo giudizio della storia il diritto di emettere le sentenze sui colpevoli delle atrocità compiute e di cui la collina cimiteriale di Sarajevo ne è peritura testimonianza e monito per le generazioni future.

Ho notato in tanta parte della stampa svizzera commenti dell’accaduto permeati di un falso patriottismo conformista sul perché ed il percome di gesti che hanno oscurato la prestazione sportiva dei confederati guidati da due maestri di vita e di sport: il capitano Behrami in campo ed il loro allenatore Petkovic, per un segno del destino, anch’essi figli, senza odio e senza rancore, di quelle terre.

Ci ha pensato il direttore della RSI, Maurizio Canetta, a ristabilire la verità, stigmatizzando l’accaduto con parole sagge e appropriate.

Grazie Direttore.

Anche per noi, italioti delusi: Hop Suisse! Hop Schwiiz! Forza Svizzera! E che la sorte vi sia amica.

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