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3 May 2024
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STORIE di Gianni Farina

Luigi Campolonghi, un emigrato, un antifascista, un combattente per il riscatto del tricolore dell’Italia repubblicana

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Nel 1898 la lettera da Marsiglia a sua madre.  Il dolore per la miseria in cui versa la Patria

Luigi ha combattuto per la concordia e la pace. Mi sono candidato per realizzare, al parlamento europeo, il suo sogno

“A Genova fu vano ogni tentativo di evasione per il mare. Mi persuasi allora come sia sciocco prestar fede alle promesse di certa gente che, magari, si sarà fatta pagare per la grande fatica sostenuta in un viaggio di piacere !

E feci da me. Chi s’aiuta, Dio lo aiuta.

Passai indifferente – con tutta tranquillità, del resto, che viene a me dalla purezza di una coscienza – attraverso un nugolo di guardie e presi il treno per Ventimiglia.

Ventimiglia è stazione internazionale e tutti quelli che arrivano in quella stazione sono perquisiti dai numerosi agenti che vi pullulano. Io uscìi in gran fretta, entrando nella sala d’aspetto. Un poliziotto mi tenne dietro. Allora io presi un corridoio, in fondo al quale avevo veduto una porta con su scritto: cessi a pagamento.

La guardia credendo che io proseguissi il viaggio si dileguò – ed io… feci altrettanto.

L’albergatore, al quale raccontai la cosa, si meravigliò di questa mia abilità.

Stetti per due giorni (pioveva a dirotto) chiuso in una stanza d’albergo. Tornato il sole, presi un legno e mi avviai con l’albergatore verso il confine. Giunti ad un certo punto, prendemmo le scorciatoie fingendo di cacciare.

Nessuno sospettò delle mie intenzioni: solamente arrivati alla pietra di confine, i due carabinieri seduti fecero come per alzarsi. Io mi levai il cappello e dissi: Buonasera. Essi salutarono e non si mossero.

La guida mi disse “questa è la terra di Francia”.

Mi fermai con la gola e il cuore stretto. Da Mentone scendevano carrozze signorili e truppe di signori, di signore, di bambini festanti. Anche gli operai, tornando dal lavoro, cantavano.

Volsi il capo verso la terra d’Italia. Là tutto era silenzio.

Io ero tutto pieno di quel sollievo amaro che si prova uscendo da un  cimitero per rientrare nel mondo.

Continuai la mia strada a capo chino.

Da Mentone partii alle 12 – a mezzanotte.

In treno mi addormentai. Svegliandomi vidi vicino a me due sergenti francesi, due signore e tre o quattro borghesi che mi guardavano.

Attaccammo discorso. Dissi loro tutta la mia disgrazia. Si commossero, mi incoraggiarono.

I due sergenti, lasciandomi, mi strinsero vigorosamente la mano al grido di Vive la République!

Quell’accoglienza mi fece bene.

A  Marsiglia trovai Alessandro Mugnosso che simpatizzò subito per me.

Marsiglia è una città enorme.

Conta 597 mila abitanti, ha tre porti, delle strade immense, dei monumenti colossali.

80 mila sono italiani: 20 mila sono onesti lavoratori; 20 mila vagabondi; 20 mila ladri; 20 mila vivono d’espedienti e ingombrano dei loro stracci, riempiono delle loro sudicerie e delle loro bestemmie le osterie del Quai du Vieux – Port. Voilà la gloire de l’Italie!

A vedere tutta questa gente invecchiata innanzi tempo, tutte queste donne emaciate, squallide, tutti questi bambini abbandonati a se stessi, laceri, scalzi, neri, sudici più dei contadini delle nostre montagne, – tutto questo medioevo brulicare nel cuore di una città civile e moderna, questa piaga ributtante in un corpo pulito e sano negli altri membri – provai un senso di profonda ripugnanza e non mi meravigliai né mi dolsi più della immeritata mia sventura.

Oh sì! La grande madre Italia che lascia i suoi figli vegetare nell’obbrobrio, può bene senza rimorso sfogare le sue voglie e i suoi istinti brutali sopra altri suoi figli innocenti.

È del resto una della caratteristiche dei delinquenti: compiere nuovi delitti per dimenticare i vecchi!

Domani conto di recarmi alla Camera del Lavoro e consigliarmi.

Se mi troveranno un impiego resterò in Francia, dove, poco importa. Se no prenderò la via di Zurigo ove vivono Rondani e Vergnanini. Intanto m’impratichisco della lingua francese”.

Questa è la lettera di Luigi Campolonghi, pubblicata da “La trace”, alla madre. Fuggì dall’Italia dopo gli arresti in seguito ai tumulti di Milano nel maggio del 1898. Ha solo 22 anni quando varca il confine.

Sarà, la sua, una grande storia di emigrato, di antifascista, di combattente per il riscatto del tricolore e la rinascita dell’Italia repubblicana.

Storia dell’emigrazione della prima metà del novecento, la cui memoria può insegnarci ad affrontare i flussi migratori dei disperati dalle terre africane dell’oggi.

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