Le statistiche sulla diminuzione della fauna dimostrano un’emergenza da risolvere
Lo scrive il The Guardian, l’illustre stampa anglofona, descrivendo, nero su bianco e con dati alla mano, l’allarme dei numeri confrontati negli ultimi anni. Dal 1970 l’umanità ha spazzato via il 60% dei mammiferi, uccelli, pesci e rettili causa il crescente consumo di cibo e risorse della popolazione mondiale a danno della nostra fauna. La nuova stima è stata presentata da un rapporto del WWF che coinvolge 59 scienziati di tutto il mondo. E, sebben criticata, è estremamente preoccupante.
Sostanzialmente “L’indice del pianeta vivente” afferma che abbiamo inquinato l’aria e l’acqua, disboscato territori vergini e minacciato ecosistemi naturali irrecuperabili distruggendo quello che è il nostro supporto vitale. Dal WWF dicono: “siamo sonnambuli verso il bordo di una scogliera, se ci fosse un calo del 60% nella popolazione umana, sarebbe l’equivalente allo svuotamento del Nord America, Sud America, Africa, Europa, Cina e Oceania”.
Entrando nello specifico, con i dati del WWF, tra il 1970 e il 2014, le 4000 specie animali sono diminuite in media del 60%. Quattro anni fa il calo era del 52% dimostrando una lenta ma continua e preoccupante parabola che sta distruggendo la natura ad un passo inaccettabile, minacciando le generazioni future.
Tre quarti dei terreni terresti sono stati trasformati in terreni agricoli, soprattutto in America centrale e meridionale dove il calo dell’89% nella popolazione dei vertebrati è diminuita per il disboscamento delle foreste pluviali. Si produce soia, che viene esportata per nutrire, nel Regno Unito, suini e polli. Regno Unito che, ricordiamo, ha perso gran parte della sua fauna selvatica classificandosi al 189esimo posto per la biodiversità su 218 nazioni nel 2016.
Alcuni habitat naturali, negli ultimi anni, sono stati protetti ma solo perché nell’immaginario collettivo, salvare la tigre in India o i panda giganti in Cina è più importante che proteggere pesci, insetti o altri uccelli che stimolano meno la fantasia e l’interesse delle persone. Il numero di tigri è aumentato del 20% in sei anni perché l’habitat è sostenuto ed è un progetto positivo a cui si deve guardare per il futuro. Ma che protezione hanno gli altri animali meno popolari? La fauna ittica dei pesci e laghi sono particolarmente a rischio a causa dell’enorme sete di agricoltura (ne abbiamo già scritto nelle scorse edizioni del pericolo delle coltivazioni di avocado) e del consumo agricolo. Marco Lambertini, direttore generale di WWF International ha dichiarato: “non possiamo più ignorare l’impatto degli attuali modelli di produzione insostenibili e degli stili di vita dispendiosi.”
Una risposta più concreta al problema arriverà, si spera, dalla cruciale convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica nel 2020 quando saranno presi impegni fondamentali per la protezione degli ecosistemi promuovendo anche iniziative con i paesi in via di sviluppo.
In ultima analisi, risulta la consapevolezza che siamo la prima generazione ad intuire i pericoli che possono esserci nel futuro e in, quanto tale, è doveroso iniziare a risolvere queste problematiche nel rispetto delle generazioni future.