Il Consiglio degli stati approva il contributo volontario, a patto che l’UE non adotti misure discriminatorie contro la Svizzera. Allusione al riconoscimento dell’equivalenza della borsa elvetica
La Svizzera analizza e valuta gli sviluppi nei rapporti complessivi con l’UE, per giungere entro la fine del 2018 a soluzioni che non danneggino il paese. Tre i temi che hanno impegnato parlamento e Consiglio federale sui negoziati con l’UE: il secondo “miliardo di coesione”, contributo di 1.3 miliardi di franchi, l’equivalenza borsistica, che l’UE ha concesso alla Svizzera solo fino alla fine del 2018, discriminando di fatto la borsa di Zurigo e la conclusione dell’accordo quadro costituzionale che prevede un’istituzione arbitrale indipendente. La Svizzera detta le sue condizioni contro i “ricatti” dell’UE.
La Commissione europea informa in una lettera ufficiale che i progressi nei negoziati sul quadro istituzionale non “sono ancora sufficienti” e che la Borsa svizzera deve “considerare che dal 2019 non sarà riconosciuta”. Il Consiglio degli stati, che ha discusso il secondo contributo di coesione di 1.3 miliardi di franchi, ha respinto il “ricatto” di Bruxelles: il contributo sarà versato a una condizione, che l’UE rinunci a misure discriminatorie, indicando indirettamente la regnante ingiustizia della negazione illimitata dell’equivalenza della Borsa elvetica, nonostante essa adempi alle esigenze per un definitivo riconoscimento. Questa mozione è stata proposta da Ruedi Noser (PLR), approvata con 38 voti contro 1, ma criticata dai sostenitori dello stesso Noser. L’equivalenza borsistica deve essere trattata separatamente dal tema del miliardo di coesione per evitare che i rapporti con Bruxelles si facciano più tesi. “Questa proposta ha l’obiettivo di indicare una cosa ovvia tra partner, la correttezza” ha sottolineato Pirmin Bischoff (PPD). Il Consiglio degli stati copre con la sua decisione le spalle al Consiglio federale nel negoziato con l’UE, ma il ministro degli esteri Ignazio Cassis ricorda di vedere “in generale i negoziati e le misure”.
Difatti, il governo elvetico ha deciso di difendere la Borsa svizzera e ha fatto ricorso al diritto d’urgenza. Il piano B prevede che a partire dal 2019 le azioni svizzere non potranno più essere negoziate nell’UE e sarà introdotto un nuovo obbligo di riconoscimento per le piazze commerciali estere, nelle quali viene negoziato un terzo delle azioni svizzere, la maggior parte nello spazio europeo. Una misura d’emergenza (tre anni) per rassicurare i mercati inquieti e che assicurerebbe la sopravvivenza della Borsa svizzera e non farebbe perdere completamente il suo valore internazionale. La speranza è che l’EU si mostri conciliante entro l’anno. Sarebbe un risultato concreto che faciliterebbe le trattative con Bruxelles sull’accordo quadro istituzionale. Il responsabile della politica estera resta il Consiglio federale e legare in modo esplicito il miliardo di coesione e l’equivalenza borsistica al quadro istituzionale sarebbe troppo rischioso. Una normalizzazione dei rapporti con l’UE, alla quale il Consiglio federale punta per un’intesa sull’accordo entro il 2018. Venerdì potrebbe decidere se continuare i negoziati o no. Il tempo stringe e nel 2019 ci saranno le elezioni europee con le dimissioni del presidente della commissione, Jean-Claude Juncker. Le difficoltà nelle trattive restano invariate e se il governo troverà una sostanziale intesa entro l’anno, l’accordo dovrà superare l’ostacolo parlamentare, dove rischia di fallire senza l’appoggio di UDC, PS e sindacati, tuttora decisi a votare contro l’accordo.
Gaetano Scopelliti