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21 November 2024
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Italiani in Svizzera

La storia di: Ersilia La Sala

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Una coincidenza davvero commovente!

Ersilia La Sala ha tantissimi ricordi e non basterebbe un libro per raccontare tutta la sua vita, figuriamoci allora le pagine di questo giornale! Nonostante ciò abbiamo il piacere di raccontare ai lettori alcuni ricordi che ci ha raccontato la signora durante il nostro incontro affrontando l’arduo impegno di riuscire a racchiuderli tutti dentro queste pagine. Ma c’è un motivo particolare per il quale la signora Ersilia insieme al marito Ugo ci hanno chiesto di incontrarli a casa loro. La signora La Sala, durante il tradizionale pranzo gastronomico veneto, organizzato dall’associazione “Trevisani nel mondo”, che si è tenuto lo scorso 10 febbraio 2019 a Zurigo (vedi La Pagina del 27 febbraio 2019), ha fatto un’esperienza davvero incredibile…

Qual è l’esperienza di cui vuole raccontarci?

Sono andata al pranzo organizzato dai “Trevisani nel mondo”, e devo dire che è stato un evento davvero perfetto, anche per quanto riguarda l’organizzazione. Per questioni di salute, purtroppo, non ci muoviamo molto, ma ci tenevo davvero ad andare a questo evento e sono felice di esserci riuscita. Anche perché c’è stata una cosa che mi ha sconvolta. Vicino al nostro tavolo c’era una famiglia, che non conoscevo, abbiamo cominciato a parlare ed è venuto fuori che abitavamo vicino a Brüttisellen quando ero giovane.

Parlando del più e del meno ho scoperto che questa signora è figlia di una mia amica di quel periodo e che mi stava molto vicino quando i miei figli erano piccoli. Anche lei aveva tre figli, ma grandi e che già lavoravano. Questa signora, nel 1980 è andata in vacanza ad Avellino a trovare le sorelle, purtroppo è stato l’anno del terremoto dell’Irpinia e lei è morta in una chiesa insieme alle sue tre sorelle. Sono passati tanti anni, ma ancora oggi ne risento tanto da quello che le accade. Sono rimasta molto sconvolta da questo incontro, è stato un momento così emozionante che anche ora, a raccontarlo, mi commuovo.

Mentre racconta di questa particolare esperienza, la signora La Sala ci mostra un album, fatto con molta cura da suo marito, pieno di fotografie e dei ricordi della sua vita di cui ci ha raccontato alcuni passaggi…

Sono nata nel gennaio del 1938 a Noventa Vicentina, però ho vissuto a Schio nel nord vicentino. Sono la seconda figlia di tre figlie di una madre vedova. Mia madre lavorava saltuariamente, una volta con il tabacco, una volta alle risaie per poterci crescere, erano i tempi della guerra e lei è stata presa per andare a fare la cuoca ai nostri militari in Germania. Così dai 6 ai 14 anni ho vissuto in un collegio con le suore.

Mia madre è stata prigioniera per 30 mesi e quando io e le mie sorelle eravamo in collegio lei ci scrisse numerose lettere che però le tornavano sempre indietro. Allora si usavano le carte postali, in una che ci arrivò aveva scritto che sentiva la nostra mancanza… Pensate un po’, sulla carta postale c’era scritto “Viva Hitler”. Con questa carta sapevamo che lei era viva.

Dopo il collegio cos’ha fatto?

Uscita dal collegio, mi hanno affidata ad una famiglia a Milano per fare la babysitter. Negli anni ‘50 lavoravo per la ditta Borletti, facevo la dimostratrice per le macchine da cucire, davo corsi di cucito e ricamo. Avevo tanti allievi, facevo dai 20-30 giorni in un posto e poi cambiavo, inoltre presentavo le macchine durante le fiere, in tutta Italia praticamente. Ho anche fatto la ritoccatrice e la modella per fotografi.

Come mai è venuta in Svizzera?

Sono venuta a trovare mia sorella, sposata con uno svizzero. Allora dirigevo un negozio a Vicenza. Ho approfittato dell’ospitalità di mia sorella e del fatto che avesse bisogno di andare a lavorare mentre io badavo ai suoi due bambini. Ho portato la mia macchina da cucire con me e facevo dei lavori a casa mentre guardavo i miei nipoti.

È qui che ha conosciuto suo marito?

Sì, ho trovato un posto di lavoro a Zurigo. Delle amiche spagnole mi hanno invitata ad una festa a Bassersdorf, dove abitava mio marito con suo fratello. Lui è napoletano, faceva il radiotecnico e ha lavorato per ditte come la Philips, inoltre il fine settimana suonava la fisarmonica alle feste italiane. Ci siamo conosciuti a questa festa nel 1962 e l’anno dopo ci siamo sposati. Quando la gente ci chiede qual è stato il nostro primo approccio, racconto sempre che è stato un abbraccio. Abbiamo partecipato ad una partita di biliardino e quando abbiamo vinto ci siamo abbracciati. Dopo quella serata lui mi voleva rivedere, però non sapeva neanche il mio nome. Per fortuna sapeva dove lavoravo, così un giorno ha chiamato la capa e le disse che voleva parlare con “la veneziana”. Con me lavorava davvero una ragazza veneziana, ma dopo averla vista, ha subito detto che non ero io, quindi hanno capito che intendeva me.

Mi ha chiesto di uscire e siamo andati a pranzo in un ristorante, ma nel momento del conto ha fatto pagare me (ridono!). Ci incontravamo poi nei fine settimana e ci siamo fidanzati. In quel periodo lui ha preso la patente, io abitavo già a Zürichberg, dove si sale con la funivia, lì aveva difficoltà a trovare la strada, una volta si è tanto arrabbiato che mi ha lasciato a piedi. Quella volta dissi “adesso basta”, ma è coinciso con il fatto che avevo già scritto a mia madre che mi ero fidanzata e lei mi sarebbe venuta a trovare perché lo voleva conoscere, così gli ho dato un’altra chance diciamo (sorride). Per il lavoro di mio marito ci siamo trasferiti ad Adliswil, dove viviamo tutt’ora. Abbiamo tre figli e tre nipoti, una figlia è psicologa, una lavora negli uffici dell’ospedale Triemli, mentre il figlio ha fatto l’accademia del conservatorio di Zurigo. Mi hanno dato molta soddisfazioni, nonostante io avessi molta difficoltà nell’aiutarli con il tedesco, questo mi è dispiaciuto davvero molto, mi faceva molto male.

Avete sempre lavorato molto…

Negli anni ‘80 io e mio marito abbiamo aperto un ristorante, e visto che mio marito è musicista, avevamo bisogno di una sala per fare le prove e abbiamo comprato una casetta ad Adliswil. Mio marito inoltre era il presidente del Comitato genitori di Adliswil e quando arrivavano nuovi emigrati li aiutavamo con la nostra esperienza. In questa casetta abbiamo messo su una specie di bar, dove ci si incontrava. Successivamente abbiamo pure fatto dei pasti con la pasta fresca fatta da noi. Ricordo la volta che ci è venuto a trovare il console e ci consigliò di aprire un ristorante Fu così che  abbiamo aperto una pizzeria a Stallikon.

La sera mio marito suonava, avevamo tanti clienti italiani, ma venivano anche molti svizzeri. Dal 1986 fino al 1994 abbiamo gestito il ristorante, purtroppo per il tanto lavoro in tutti gli anni ne ha risentito la nostra salute, io ho avuto un aneurisma e mio marito ha avuto un infarto, a quel punto il dottore ci ha consigliato di lasciare.

Come avete vissuto l’arrivo in Svizzera?

Molto male, non riuscivo ad adattarmi con il suo lavoro. Mio marito ci manteneva e io sono rimasta a casa con i bambini, ma è stata molto dura. Quando lavoravo a Zurigo guadagnavo 70 centesimi l’ora, era pochissimo e quando chiesi un aumento mi hanno dato 3 centesimi in più. Mio marito prendeva 800 franchi. I tempi di Schwarzenbach ci hanno fatto molto male, abbiamo visto tanti connazionali andar via. Dal 1990 siamo cittadini svizzeri e oggi abbiamo sicurezza, tranquillità, e tanto affetto dei miei figli. Devo ringraziare la Svizzera e gli svizzeri per le opportunità che ci hanno dato.

Cosa pensa dell’Italia di oggi?

Male per diversi motivi. Tornando indietro, penso che mia mamma non aveva davvero niente, a noi che siamo arrivati poveri ma siamo riusciti a migliorare e a tirarne fuori quel che potevamo, ci è voluta tanta caparbietà, tanta volontà.

Oggi penso ai giovani, loro sono abituati al benessere, vedevo i ragazzi con vestiti firmati, questi ragazzi ora fanno fatica ad accettare che si torni indietro, e ne soffrono più di noi. Quelli cresciuti dopo di noi erano abituati al benessere e ora soffrono perché i tempi sono cambiati, sono più difficili. Noi abbiamo provato che con tanta fatica e tanto lavoro si può fare qualcosa. Per i giovani di oggi non so come sarà.

Manuela Salamone

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