Enrico Berlinguer, 35 anni fa
Nulla fu più come prima
Eravamo riuniti alla sede ufficiale della Federazione dei Circoli Realtà Nuova, il posto di comando dell’organizzazione del PCI in Svizzera e dopo la mia elezione al Comitato Centrale del Partito, della politica europea dell’emigrazione.
Erano venuti, le compagne e i compagni, da San Gallo, Basilea e Ginevra, e dagli altri centri della Svizzera ove era operante una sezione di quella straordinaria forza volontaria di popolo. Rappresentavano, assieme, i quasi diecimila nostri compatrioti che avevano scelto l’appartenenza al Partito per rinnovare la tradizione democratica e partecipativa acquisita in Italia.
Gente delle isole e del profondo sud come del centro e del nord Italia. Di loro, spesso, si raccontavano mirabilie e appassionanti momenti di lotta e riscatto in tante vicende, spesso drammatiche, in cui il mondo del lavoro italiano cercò la via della dignità e della rivincita sul misero destino a cui lo avevano rinchiuso le povere vicende della loro storia.
Il sindacalista di Cerignola che aveva conosciuto Di Vittorio e quando parlava di lui, sussurrandone il nome, Giuseppe, non riusciva a nascondere, ancora dopo tanti anni, un misto di commozione e nostalgia. L’insegnante partigiano della val d’Ossola che raccontava ai suoi allievi le vicende della resistenza e di come fu proprio per suo merito che l’Italia poté riscattare il tricolore dalla vergogna e dal disonore del regime totalitario e razzista. Eravamo una settantina o giù di lì, il fiore del gruppo dirigente dell’organizzazione.
Discutevamo delle vicende attinenti l’impegno nella lunga “campagna elettorale” per le elezioni europee oramai conclusa e di come si stavano organizzando i “treni rossi” per permettere al maggior numero di compatrioti di rientrare ai loro villaggi per il voto. Squillò il telefono, dall’altra parte del filo una voce a me nota: Enrico è stato colto da un grave malore nel corso del comizio conclusivo a Padova e giace in condizioni disperate all’ospedale della città veneta.
Il coma profondo e irreversibile fu di breve durata.
L’11 giugno di quel funesto 1984 moriva il Dirigente più amato che aveva saputo unire un popolo oltre il colore delle bandiere di appartenenza e indicare, unitamente ad un altro grande di quel tempo, Aldo Moro, la via della concordia e della ritrovata unità per il bene della Patria. I poteri occulti internazionali sbarrarono la strada ai loro disegni. Ho sempre pensato che, in realtà, il brigatismo rosso, lo strumento operativo scellerato del martirio di Aldo Moro, avesse liquidato, con lo statista cristiano democratico, anche la strategia innovativa di Enrico Berlinguer.
Ho ancora negli occhi le file di popolo in attesa alla nostra sede di Zurigo
La famiglia cilena con la piccolina che, abbracciandomi, dona un mazzo di rose rosse in ricordo di Enrico, i compagni spagnoli e catalani, i palestinesi con la kefiah e l’inchino in preghiera nel nome di Allah e tanti nostri compatrioti, ognuno con il viso contratto dal dolore.
Pochi giorni dopo, prima della partenza per Roma, su pressante invito di Luciano, l’allora segretario della Sezione mi toccò l’arduo compito di ricordare Enrico, a Rapperswil-Jona, alla cattedrale cattolica della cittadina lagunare.
Erano tutti lì gli italiani di quella incantevole cittadina. Tutti, di ogni età e appartenenza politica e con i grandicelli schierati con le bandiere rosse e tricolori a farmi corona. Inizio a parlare farfugliando qualcosa con il pensiero rivolto al creato e l’appello a perdonare la mia intrusione.
Il missionario accanto intuisce il momento e si accosta sempre più per farmi coraggio. Lascio cadere i pochi fogli in cui ho scarabocchiato due frasi, che svolazzano attorno come a cercare un pensiero, un conforto. Non ne ho bisogno. Parlo ricordando il suo sguardo mentre relaziono alla conferenza sui problemi dell’emigrazione italiana, tenutasi in sua presenza pochi mesi prima, o alla riunione della Direzione Nazionale difendendo il diritto dei nostri cittadini a votare ed eleggere i propri rappresentanti in parlamento.
Tutti contro la proposta. Qualcuno, indignato per questa mia provocazione.
Al termine, mi raggiunge un suo collaboratore: Enrico ti vuole parlare.
Mi avvicino. Un ciao con l’accenno di un sorriso accompagnato da una fuggevole carezza.
Le buone idee, mi dice, tardano a farsi ascoltare, eppure, alla fine, si affermano e vincono.
Sorridimi ancora, Enrico, come quella tarda mattina di trentacinque anni fa.