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3 May 2024
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Cronaca

Al primo controllo il detenuto sparisce

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Un giudice condanna un ladro agli arresti domiciliari ma lui indica come domicilio una stazione ferroviaria e il giudice accoglie la scelta

In Italia il problema delle carceri è uno dei più gravi. Sono circa 68 mila i detenuti ma le patrie galere al massimo possono contenere 45 mila ospiti. Tutti coloro che superano i 45 mila significa che appesantiscono la vivibilità, con celle piccole e a volte anche con 6-7 persone. Il problema non è recente, c’è sempre stato, solo che al posto di costruire nuove carceri, si è preferito battere altre soluzioni, tra cui l’amnistia, l’indulto, gli arresti domiciliari. Ultimamente, il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha preferito che i detenuti non per gravi motivi e che si trovino a scontare gli ultimi diciotto mesi li passassero agli arresti domiciliari. Anche al detenuto della storia che stiamo per raccontarvi, un certo Carmelo Giorgio G., sono stati concessi gli arresti domiciliari, ma, come dire?, è sull’aggettivo ”domiciliari” che è nata la curiosità. Dunque, il nostro Carmelo ha quasi 44 anni, gli ultimi venti dei quali passati a rubacchiare: furti, rapine, ricettazione. Come potete immaginare, è stato beccato più volte e più volte ha trascorso periodi più o meno lunghi in carcere. Evidentemente, ogni volta che è uscito, ha promesso di cambiare strada e vita, ma ogni volta che ci ha provato, si è trovato a percorrere la stessa, identica strada. Per farla breve, per Carmelo le porte di una vita nuova si sono sempre chiuse, mentre quelle della solita vita di furti e rapine si sono sempre spalancate. Succede. Non tutti sono capaci di dare un calcio nel sedere al vizio e trasformare il buio in luce. Mutatis mutandis, chi è senza peccato, scagli la prima pietra. La sfortuna di Carmelo è stata che è sempre stato beccato o sul fatto o condannato con tanto di prove.

Sapete, a furia di stare dentro e fuori, si perde la nozione del proprio ”Zuhaus”, non si sa se è in prigione o fuori, specie quando quel ”fuori” non corrisponde davvero a una casa, ma piuttosto a uno spazio indefinito. Ad onor del vero, dobbiamo dire che Carmelo non è un tipo alla buona e soprattutto non si accontenta di poco, per cui ruba oggi, ruba domani, è diventato un tipo pericoloso per le sue malcapitate vittime. E qui veniamo al tema con cui abbiamo aperto. Quando un giudice condanna alla prigione qualcuno e magari questo ”qualcuno” reitera non una ma più volte lo stesso reato, il magistrato cosa fa? Lo condanna, evidentemente. Ma quando le prigioni sono piene, cosa fa? Non potendo condannarlo al carcere, già al limite della capienza, cosa può fare? Lo condanna agli arresti domiciliari o al domicilio coatto. Insomma, il malcapitato può stare a casa con obbligo di firma o di vigilanza. E‘ una misura che si adotta prima delle manifestazioni di piazza che possono anche degenerare. Allora ti obbligano alla firma o alla sorveglianza in modo che dei fanatici non possano aggiungersi ad altri fanatici e stemperare in questo modo la tensione. In pratica, le forze dell’ordine bussano alla porta del domicilio dato e controllano se ci sei. Il guaio è che il nostro buon Carmelo non ha un domicilio fisso, o meglio, ce l’ha, ma non è suo, perché abitualmente vive nella sala di attesa di una delle stazioni di Milano. In uno dei tanti processi a suo carico, il giudice stabilisce gli arresti domiciliari dove il nostro buon Carmelo sceglie di essere sorvegliato. Lui, non avendo, come detto, una dimora personale, indica la sala d’attesa di una stazione. Normalmente, dopo una scelta del genere come minimo un giudice gli dovrebbe raddoppiare seduta stante la pena per irrisione, e invece no, il giudice, pur conoscendo il rischio di una reiterazione del reato, decide di concederglielo: Carmelo vada pure a ringraziare il buon Dio, ma la legge l’hanno fatta gli uomini e costoro hanno deciso che Carmelo può eleggere quale domicilio da sorvegliare, nel suo caso, appunto, la sala d’attesa di una stazione. Chissà cosa avranno pensato i carabinieri che si sono recati nella sala d’attesa di una delle stazioni di Milano, di certo è che a loro toccava di di svolgere quell’ingrato servizio. Solo che di Carmelo non c’erano tracce nella sala d’attesa della stazione. I carabinieri hanno pensato che potesse essere in bagno. Dopo tutto, la vita in una sala d’attesa deve essere anche stressante. Ma di Carmelo nemmeno l’ombra. Gira di qua, gira di là, i carabinieri hanno dovuto constatare che Carmelo se l’era svignata, o forse aveva cambiato sala d’attesa e città, badando bene di non avvertire la questura.

La domanda è d’obbligo: ci voleva davvero tanto a capire che una condanna agli arresti domiciliari in una sala d’attesa di una stazione era un invito alla latitanza? E‘ vero che, sempre a Milano, un tizio fu condannato agli arresti in una panchina, ma insomma, qui si sfiora il ridicolo. Ci auguriamo solo che il nostro Carmelo non sia stato beccato senza biglietto, se no, quasi quasi è meglio la prigione che un’anonima e affollata sala d’aspetto.

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