Una limpida giornata di primo autunno. Il Jambolino della Swiss mi porta verso il Lussemburgo, il principato baciato dal benessere in contrapposizione al resto dell’Europa. Vi è sempre un senso di ingiustizia nell’assistere alla ricchezza dei pochi che vivono in minuscoli castelli dorati in barba ai milioni di disoccupati dell’Unione.
La riflessione mi aiuta a sconfiggere la tensione interiore che mi assale ogni qualvolta salgo su quei maledetti mostri volanti, soprattutto quando sono minuscoli come questo uccellaccio della compagnia di bandiera elvetica. Il terrore di volare non mi abbandonerà più da quel lontano mille novecento sessantotto, l’anno in cui vissi il terrore della morte sul vecchio velivolo in volo da Tripoli a Kufra. La rossa sabbia del ghibli aveva impastato i rotori all‘ aereo a cui rimase in sorte l’impatto con le dune del deserto. Urla di paura e terrore dei pochi passeggeri a bordo prima del tonfo in cui ebbi il tempo di pensare ai miei cari lontani con un misto d’amore e rimpianto per averli abbandonati lassù nella valle circondata dalle grandi montagne dominate dalle vette dell’ Adamello e del pizzo Disgrazia. Già, nell’attimo del possibile addio vi è sempre uno spazio – un secondo, un minuto – in cui la mente se ne va dal tuo corpo annientato da un devastante tremore per tornare alla fonte di vita.
Andò bene, quel giorno lontano. La sabbia accolse il velivolo con fare paterno e fu per noi passeggeri il fato o l’angelo amico, benigno. Assorto in tali pensieri e senza che me ne sia accorto, sobbalzo all’impatto. Siamo atterrati. Mi attende un amico, Mario, il ragazzo del sud che ha saputo vincere la sfida per se e per quella sua splendida famiglia a cui ha saputo indicare la strada dell’impegno e della passione civile e umana. Un’ora o poco più per partecipare a tempo al dibattito sull’Europa il cui titolo è già un programma per ognuno di noi: dalla fortezza Europa all’Europa dell’accoglienza e della cittadinanza. I partecipanti sono di peso: parlamentari europei, sindacalisti, personalità della cultura e di fede. Dico la mia, come sempre, con quel sentimento visionario e utopico che è stato il tratto fondamentale del mio impegno politico e umano. Parlo di un’Europa che non c’è. Un’Unione che sappia parlare ad una sola voce.
Di un armonioso stato sociale europeo da costruire con la saggezza delle menti più aperte e solidali. Parlo di convivenza e accoglienza. Di una Italia lasciata sola nello sforzo immane di “Mare Nostrum” per salvare i disperati della terra che solcano il mediterraneo in cerca di un approdo alla terra promessa come già fece Ulisse nel suo peregrinare alla ricerca della patria perduta infestata dai proci. L’impressione e non solo, è che c’è ancora molto da fare. I novelli proci sono ovunque, in Italia e altrove. Ovunque con il loro egoismo, l’animo racchiuso nelle casematte sorde all’urlo di aiuto che sale dal mare. Me ne torno con la percezione del tanto, di impegno e lavoro, che attende noi tutti perché abbia a fiorire il seme della convivenza tra popoli e nazioni europee. Di ritorno e a sera del giorno che viene, partecipo a Berna ad un bella serata alla casa d’Italia. Si proietta un film a me già conosciuto : quando c’era Berlinguer. Impressionante la folta presenza di un mondo convenuto a rivivere un tempo vissuto e di giovani attratti dalla storia di un uomo di cui hanno forse sentito parlare dal babbo o dal nonno. È presente il regista, di cui non occorre spiegare un granché. Parliamo di Walter Veltroni, un politico, un uomo a me così caro. Mentre scorre la trama: visioni di folle, di fatti e misfatti
del tempo in cui vissi l’impegno politico più forte e convinto, io penso a quell’uomo minuto dal volto sì scarno da sembrare il povero contadino della sua terra sarda intento a violentare il suolo argilloso dall’alba al tramonto. A Padova, nell’ultimo incontro con il suo popolo mi apparve così: un eroe che cade stremato dopo aver consumato un’ultima goccia di sforzo e sudore. Un politico antico per cui parole come solidarietà, onestà, moralità erano scelte di vita. Forse, vi è anche un po’ di nostalgia nel pensare a quel tempo. Per me, è vera memoria. Memoria per guardare avanti a ciò che ci attende. Se sapremo apprendere dalla sua storia di vita, Enrico Berlinguer non sarà vissuto invano.