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26 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

Una giornata particolare

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Nacque il 10 gennaio nell’anno ( 1941) del ferro e del fuoco

Un sentierino tra i vigneti multicolori di una mattinata ottobrina. Un casolare alle cui stanze si accedeva attraverso la scala a pioli.

Il solaio da cui, sbirciando tra gli spioncini dei muri in pietra, assistette al passaggio della marmaglia vestita di nero e udito l’ultimo della fila, dall’aspetto torbido e barbuto, proferire parole (bestemmie) di cui non capiva il significato.

La scuola elementare al quinto piano del palazzo comunale, ove una straordinaria maestra, già in là negli anni, lo avvicinò ai valori che hanno poi fatto parte della sua vita.

Le superiori all’istituto De Simoni del capoluogo ove si cimentò per alcuni anni con il “latinorum” e in seguito con la topografia e i logaritmi per poter calcolare i tracciati delle strade – solo una ambizione- della sua valle. La breve esperienza universitaria.

L’emigrazione con i bucherons (boscaioli) nell’alta Savoia. La Svizzera nel cimento dei lavori autostradali.

L’ Africa libica con negli occhi i negretti del Ciad, servi dei Ras locali, addetti allo scarico di ogni e qualsiasi materiale che serviva alla costruzione del grande ponte di Wadi al-Kuf nell’alta Cirenaica. Più volte qualcuno  schiantava a terra stremato dall’orribile turno lavorativo, dalla mal nutrizione, o da una profonda ferita.

Nessuno che accorresse a prestare soccorso tanto che, assistendo all’ennesima vergogna, si ribellò e dovette abbandonare  il suolo Libico.

La Svizzera, l’orgoglio di essere chiamato alla direzione di grandi lavori del genio civile (ricostruzione degli otto chilometri del tunnel ferroviario del RicKen). L’aspirazione a nuovi e inediti compiti nel campo sociale, culturale e politico.

L’esperienza francese. L’elezione alla Camera Dei Deputati nell’Aprile del 2006.

L’impegno parlamentare, tra alti e bassi, che dura tuttora.

Ore di studio, e qualche notte insonne a elaborare documenti, mozioni, interrogazioni e proposte di Legge tra l’indifferenza, spesso, di tanti suoi colleghi italiani.

Le trasferte nel villaggio Europa a spiegare il senso di tante sconfitte o annunciare qualche successo dinnanzi a cittadini emigrati  delusi, talvolta indignati: per la noncuranza, la perdita di memoria, l’ignoranza sulle problematiche di interesse della comunità nazionale in Europa.

Nel corso del mese dicembrino del 2017, si accollò il peso di lunghe trasferte  nel triangolo che ancora divide le tre grandi realtà storiche del centro Europa:  Francia, Germania, Benelux.

Ovunque un clima di sfiducia nell’avvenire dell’Europa, l’Unione che, pur con errori e ritardi, ha assicurato ai suoi popoli 70 anni di Pace e progresso, e  nella possibilità di un nuovo virtuoso processo riformatore in Italia.

Il 31 Dicembre lo passò un po’ così, attendendo, per un più assennato bilancio, lo scoccare del 10 del mese del freddo e del gelo. Arrivò stanco a casa, trafelato e senza più parole.

Le ultime strane vicende lo avevano convinto dell’inutilità della sua vita. Eppure, molti legavano ancora le loro speranze alla sua esistenza, alla sua capacità di tenere insieme tutti per un progetto unanime, condiviso. Ma allora perché si sentiva così dilaniato? Incapace di prendere una decisione saggia? Guidato da interessi lontani dall’idea che aveva di se stesso?

Quando alcuni lo avevano abbandonato, nel corso dell’anno che fu, la preoccupazione era aumentata.

Quando aveva incominciato a vedere che i soggetti rimanenti vedevano solo colpe in chi era uscito o usciva dal raggio del suo sole, entrò nella fase dell’isolazionismo disperato!

Quando comprese che era solo, con alla guida la solitudine, si fece coraggio e guardò avanti al nuovo anno, da alcuni chiari di luna scoccato.

Il 10 gennaio stava arrivando, spietato, alla mezzanotte.

E lui, solo, esitò, perplesso, guardando indietro e chiedendosi dove avesse sbagliato lui o tutti gli altri.

Era forse temporaneamente riuscito a farsi forza per superare un altro dannato compleanno.

Ma la mezzanotte lo accompagnò per la sua strada verso un destino che solo il fato sa.

Ho parlato al mio io.

“Caro amico ti scrivo, così per distrarmi un po’”.

Lo farò, caro Lucio, all’indirizzo di non so dove e quando avverrà.

Siccome sei molto lontano, più forte vagherò nell’immensità dell’infinito  con il  desio di riudire il  melodioso cinguettio del tuo canto.

Il sole sorgerà ancora dalla vetta dell’Adamello a irraggiare il verde della mia Valtellina.

Assonnato e triste, potrò consolarmi per dirmi: oggi è un altro giorno.

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