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4 May 2024
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STORIE di Gianni Farina

Racconti di un viaggio irreale alla ricerca del tempo perduto

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Era già tutto pronto.
Il trolley con il necessaire per una decina di giorni.
I biglietti prepagati per il viaggio.
La destinazione, Paris e dintorni, alla ricerca del tempo perduto.
Ci aspettava Mario, l’amico proprietario dell’appartamento all’ottavo piano del palazzo al centro di Montreuil.
Vive solo, il garibaldino, dopo la scomparsa della compagna.
Ma quando ti affacci sulla terrazza di casa, si erge, racconta lui, la maestosità di madame Eiffel. Nella notte, un luccichio di luci che irradia la città sulla senna perché ognuno possa godere lo splendore di un sogno che si rinnova da oltre 127 anni.
Ed io, racconta Mario, mi sono appisolato ogni sera come se Annina fosse ancora accanto a me da quel giorno in cui la incontrai, lassù, oltre i duecento cinquanta metri della torre e bastò un sorriso perché capissi di aver incontrato la donna della mia vita.
I brividi influenzali di freddo e sudore della vigilia festiva hanno dettato l’arresto e il lungo riposo.
Peccato. Peccato davvero!
Figurati Mario. Racconta, al telefono, di come avesse informato i compagni e previsto un rimpatrio al Cercle des garibaldiens de la Gare de l’Est accanto alla Port Saint Martin, lungo il corso d’acqua che ne ha viste di cotte e di crude e udito persino gli spari dell’odio al vicino teatro Bataclan.
Chissà se Valeria Solesin, come me, amasse passeggiare sull’argine del canale sin oltre la città della scienza.
Osservare lo scorrere lento dell’acqua come se avesse il timore di fare troppo baccano o raggiungere al più presto la Manica, il suo mare.
Fu li, dai garibaldiens, che conobbi Gina Pifferi, la straordinaria vecchietta reggiana, solita organizzare nella sua dimora, alla rue St. Laurent, gli incontri settimanali con il meglio dell’intellettualità italiana parigina.
Abitava, la zarina, al sesto piano di un vecchio caseggiato a cui si accedeva attraverso l’impervia scala in legno, eternamente scricchiolante per il peso degli anni e il lordo fardello dei tanti segreti.
Garibaldina, resistente, parigina, reggiana, franco – italiana come i tanti fuoriusciti dell’oscuro periodo di dominazione nazista e di guerra.
Mi chiamò una sera, e senza un perché.
Cucinò i soliti spaghetti stracotti – una sua sola pecca – e al termine dell’improvviso pasto frugale nel soggiorno, libreria del libero pensiero, mi annunciò il suo ritorno a Reggio Emilia, in Italia.
Vado a morire, mi disse. In fondo, ho vissuto a lungo e con un certo onore.
Il referto medico le aveva annunciato la fine.
Ci abbracciamo e senza una sola parola.
Addio, passionaria.
Il Circolo dei garibaldini era retto, allora, da Dario Maffini, il comandante della brigata dei garibaldiens de France, protagonista della liberazione di Parigi.
L’eroismo della brigata italiana fu immortalato all’hotel de Ville con il riconoscimento della legion d’ honneur al suo comandante.
Dario ci lasciò, ormai quasi centenario, salutato da tutta Parigi, la città che lui amava e da cui era amato.
Veniva dall’Italia a farci visita, talvolta, anche per il suo ruolo di dirigente sindacale, Nella Marcellino.
Esigente, appassionata, spesso intransigente, come lo furono i combattenti antifascisti in quegli anni, amava invitarmi a cena,
nel bistro ancien regime della vecchia Parigi, accanto alla Bastille, ove aveva vissuto gli amori più intensi del suo passato parigino ai tempi dell’occupazione nazista.
Qualche bicchiere in più e il fiume dei ricordi travolgeva me e gli occasionali presenti. Le visite al Louvre, pullulante di militi nazisti con la mano sulla fondina della pistola. Le passeggiate quotidiane al Cimitière du Père Lachaise, ove, raccontava, aveva fatto l’amore in un androne vuoto, udendo il passo dell’oca della ronda nazista. E mai avventura fu così travolgente e appassionante.
Spinto dalla curiosità, seguii, da allora, il suo esempio.
La passeggiata attraverso Père Lachaise, il luogo in cui vivi il senso dell’eternità, ascolti il soffio della vita delle anime, presenti o passate di qua, che hanno fatto grande il nostro mondo, proiettandolo verso l’infinito della sua storia: Chopin, Rossini, tra i tanti.
Sul vialetto della parte centrale campeggia una tomba modesta.
Un marmo. Una data. Una scritta. Un nome: Edith Piaf. Dormi, passerotto. La tua “vie en rose” ci ha fatto amare, persino nei giorni più tristi, la vita.
Non, rien de rien, non, Je ne regrette rien.
Anche le ceneri di Maria Callas, accorse dall’Egeo, accompagnano il cinguettio immortale.
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