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8 May 2024
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STORIE di Gianni Farina

Dopo il sindaco Lucano di Riace il giovane Simone di Torre Maura

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Bagliori di luce di una nuova fratellanza umana

Sul luogo, Torre Maura, alla periferia est di Roma, sorge una struttura di accoglienza prevista per l’arrivo di alcune famiglie Rom. Si sono appena installate, debitamente scortate dalle forze di polizia. Scatta la protesta di alcune decine di abitanti del luogo sostenuti dalla organizzazione fascista di CasaPound.

Scene da guerra urbana, il marchio di ogni protesta in cui sono in gioco i valori della convivenza nelle periferie delle grandi metropoli del mondo globale.

Parigi e i suoi Gilet gialli, Marsiglia, Lione, domani, forse, Berlino o Budapest, Madrid o Milano. In genere, sono il vulnus della lotta tra poveri, i miserabili che vivono alla periferia del benessere, l’araba fenice della loro infelicità che li ammalia come accade al viandante nella traversata del deserto alla disperante ricerca dell’oasi amica a cui abbeverarsi per perpetuare il sogno della vita.

A zingari de m…ve ne dovete annà”, grida la passionaria del gruppo, accompagnata dai cori di scherno al Rom più coraggioso che osa affrontare il manipolo degli assetati di odio, razzismo e disumana follia, incoraggiato da Simone, un quindicenne italiano del quartiere Torre Maura.

Simone: se mi svaligia casa un Rom, tutti gli devono andare contro, se lo fa un italiano mi sto zitto che è un italiano.

È sempre la stessa cosa, si va contro la minoranza, a me non mi sta bene.

Nessuno deve essere lasciato indietro, né italiani, né Rom, né africani, né qualsiasi tipo di persona.

Il bieco di CasaPound: sei solo uno su cento, solo tu pensi queste cose. Simone: almeno io lo penso. Un bagliore di luce nel grigiore di odiosa follia.

Nella miseria delle diffuse povertà, si scatena la lotta tra gli sconfitti, quelli che non ce l’hanno fatta o vedono minacciati i loro residui diritti.

Fu così, nel 1893, ad Aigues Mortes. La caccia agli italiani nelle saline, ritenuti colpevoli di accettare i massacranti turni di lavoro a scapito dei lavoratori francesi. Bastò una scintilla, una lite tra colleghi di lavoro, una falsa notizia, per scatenare la protesta dei lavoratori francesi, l’odio verso les italiennes, che provocò il massacro di decine di nostri concittadini piemontesi e liguri senza che vi fosse una sia pur flebile reazione di solidarietà da parte dei residenti.

Accadde durante la perforazione della galleria ferroviaria del San Gottardo nel decennio 1870/80 e di ogni altro traforo alpino dell’ottocento e del novecento.

Centinaia di morti nel corso dei lavori a causa della mancanza delle più elementari norme di sicurezza e di condizioni igieniche primitive.

Proteste e ribellioni furono represse nel sangue, tra l’indifferenza, e spesso l’assenso, della popolazione locale, gli italiani dipinti come esseri avidi di denaro e ingrati verso i loro datori di lavoro svizzeri. È accaduto sempre e accadrà ancora, qua e altrove, se le classi dirigenti delle nostre nazioni non sapranno condurre delle avanzate e premonitrici politiche di integrazione che partano dal rispetto della persona umana, delle sue aspettative e speranze in un presente e futuro più civile e umano. La scena del doloso calpestio del pane, donato dalle organizzazioni caritatevoli per assistere i Rom, da parte dei facinorosi fascisti, a Torre Maura, è la triste scena che non avrei mai osato pensare.

Il pane, il simbolo del progresso, della pace e del bene della vita, sporcato e sbriciolato dalle lorde scarpe della marmaglia, è un insulto alla storia italiana.

Ricordo il ragazzo del nostro dopo guerra, in mano il libretto nero su cui notare la spesa quotidiana. Ritorna dalla bottega, prima cooperativa della rinascita del povero borgo, tiene, in un foglio di carta sgualcito, le due ultime pagnotte in quota di razionamento. Le guarda, le osserva, ne annusa il profumo, le avvolge e riavvolge come fossero, e forse lo sono, l’ultimo dono di una vita – la sua – scoccata negli anni più duri. Pane e lavoro! Il grido che accompagnò le proteste bracciantili e operaie del dopoguerra repubblicano, periodo in cui tanta parte della gente italica scavalcò le alpi o andò per mare alla ricerca di un migliore avvenire.

Nella protesta, come negli interminabili viaggi, tra lo sferragliare dei treni dal formato tradotta, o su battelli sbattuti dalla potenza dell’onda, il tozzo di pane fu il compagno e l’amico di una umana speranza.

Che qualche anima gentile raccolga le briciole di pane lordate dal fango sulla piazzetta di Torre Maura, un segno che può ridare la speranza e porre fine all’onta.

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