Tra tali ricordi, ora che la meta non era più lontana, Costantino di tanto in tanto smontava da cavallo, e raggiungeva nel cocchio Minervina, per un colloquio sommesso, in cui cercava di tranquillizzarla sulla permanenza da Elena. Ma non poteva evitare di considerare che non si stava comportando diversamente dal padre Costanzo. Come lui, avrebbe lasciato crescere il figlio al chiuso di Naissus, per spingersi sui sentieri della gloria da cui preparargli un grande avvenire. Non era stata forse questa l’intenzione di Costanzo? E se poi le cose erano andate per un altro verso, e avevano impedito a Elena di coronare il suo sogno, ora non stava preparando anche lui il medesimo destino per la compagna e per il figlio?
Intimamente scuotendo la testa, Costantino si diceva che questa volta non sarebbe andata così, e che mai avrebbe inflitto a Minervina la sofferenza che aveva scorto nel giorno del congedo sul volto della madre, di cui riusciva ancora a ripetersi le parole dell’addio. Quando lei, dopo aver dolorosamente riconosciuto la necessità della separazione, si era appartata con lui per le ultime raccomandazioni, e col volto rigato di lacrime, colmandolo di baci e carezze, gli aveva detto che solo per amore accettava il sacrificio. Né lui si capacitava che l’amore dovesse far piangere, finché non aveva compreso che la madre non avrebbe potuto seguirlo insieme al padre, perché, avendo Diocleziano deliberato che i cesari sposassero le figlie degli imperatori, a Costanzo era stato imposto il matrimonio con Teodora.
Non era stato del resto proprio quell’obbligo a suscitargli la prima perplessità sull’efficacia della tetrarchia? Lui, che mal comprendeva come la suddivisione del potere potesse rafforzarlo, e che già infante si gingillava con precoci intuizioni da capo, non fosse che per lo sconquasso che produceva nella sua famiglia, si confermava nell’idea che quella strana riforma non avrebbe salvato l’impero, che necessitava di un solo comando. E già allora, ben prima che la riserva su quella delibera si duplicasse con l’inefficiente politica cristiana, vi aveva colto il più grave errore di Diocleziano. E nemmeno la lunga permanenza accanto a lui, e le tante occasioni che aveva avuto per ammirarne l’integrità e la saggezza, erano riuscite ad attenuare quella critica, profilatasi fin dal giorno che a Costanzo era stato negato di sposare Elena. E a tal punto aveva sentito la pena della madre, da produrre uno spontaneo moto di rifiuto a completare la formazione sotto la guida di un padre vincolato da un’assurda legge, che gli vietava di unirsi alla donna che amava
Nel ricordarlo, Costantino ancora si rivedeva tra le braccia della madre, a ripeterle che mai avrebbe accettato le conseguenze di quell’orrenda ordinanza. Invece Elena aveva ribadito, con la durezza delle sue occhiaie prosciugate, che mentre lei non poteva sopportare l’umiliazione e l’offesa di vedere Costanzo accanto a un’altra donna, dopo tanti anni di dedizione e di attesa, lui invece sì, Costantino, avrebbe dovuto seguirlo. E modulando su un registro più patetico per sedurne la volontà, l’aveva persuaso, con la morte nel cuore, che a Naissus non c’era possibilità di carriera, per lui che invece era chiamato a grandi cose.
Quel momento ora stava arrivando, si diceva Costantino, gettando uno sguardo nel cantuccio dove Prisco dormiva fidente sul braccio di Minervina, che lo cullava con ansiosa tenerezza, come a proteggerlo da un pericolo oscuro. Ed era proprio la supplica colta nell’apprensione della compagna a convincerlo ancor più che per loro le cose non sarebbero andate così; che a lui nessuno avrebbe imposto di lasciare la famigliola che amava; e che mai Minervina avrebbe sofferto quella lacerazione. E nel dirselo, nuovamente tornava a visionare Elena, e lo strazio che le aveva procurato la separazione. Oh, cara lungimiranza di una madre affranta, che aveva saputo soffocare la voce del sangue, per favorire la carriera del figlio! E non era forse grazie a quella rinuncia che era arrivato a due passi dal potere, come pupillo di Diocleziano, e che solo una perfidia l’aveva respinto nell’ombra? Ah, sì, ma solo per poco, fremeva a quel pensiero. Non sarebbe bastato certo Galerio a spezzare il sogno suo e della madre. Egli era comunque figlio di un imperatore; e se pure le regole della tetrarchia sembravano escluderlo dalla successione, ora che Diocleziano non vi esercitava più il suo controllo, ci voleva poco a infrangerle, a uno come lui, determinato e sicuro della sua stella. Il sacrificio della madre non era stato vano, no; e dopo l’impossibilità di Costanzo, ora il compito di riscattarla spettava a lui, e a lui solo. Ché se la ragione aveva saputo controllare il più intimo sentire di Elena, ventilandole il riscatto promesso dalla rinuncia, ora quel riscatto egli intendeva realizzarlo in terra, e non procrastinarlo oltre i confini di quel cielo a cui la madre fervidamente rivolgeva le preghiere, e da cui si aspettava ricompensa alle pene patite.
Così, proprio dalla separazione, Costantino aveva avuto la riconferma della sua assunzione di gloria; l’impegno con la madre aveva triplicato la sua brama di un grande avvenire. Non solo per se stesso, ormai, e per acquietare le sue forti ambizioni, ma anche per vendicare il destino doloroso di lei, aveva intrapreso la carriera che non avrebbe potuto percorrere sui viottoli di Naissus. Accanto a Diocleziano era diventato un condottiero esperto, un uomo d’armi e d’azione; e aveva già dato abbondanti esempi delle sue capacità di stratega: al punto che lo stesso Diocleziano aveva scorto in lui il suo migliore ufficiale. Proprio come aveva vagheggiato Elena, allorquando, persuasa della necessità di permutare le certezze del focolare nelle insidie del mondo, aveva concesso che Costantino balzasse in un’avventura gravida di rischi e trionfi, fino al giorno glorioso in cui sarebbe tornato a riscattare chi lo lasciava partire con la morte nel cuore. E lui, fissandola col suo sguardo penetrante in cui era già scritto un giuramento, l’aveva rassicurata che mai l’avrebbe dimenticata, e che l’attesa non sarebbe andata delusa.
E ora, fremente e pensieroso, mentre con occhi lucidi seguiva il respiro di Prisco, per poi rivolgerli a Minervina stupita da tanta commozione, Costantino rivedeva chiaramente l’ultima scena con la madre. Quando, oppresso da un groppo immenso, con un sorriso l’aveva stretta a sé, per rassicurarla che un giorno sarebbe ritornato a prendersela, per offrirle una posizione di prestigio e la consolazione della vecchiaia. E quelle parole gravi, dette nell’empito dell’emozione, continuavano ora a percuotergli la mente, torturandolo col rimorso di non aver ancora saputo realizzarle, visto che stava ritornando a Naissus non per prelevare la madre, ma per affidarle Minervina e Prisco. Né riusciva a contenere l’amarezza che, benché avesse fatto passi decisivi sul cammino del successo, per quell’infamia di Galerio non era ancora giunto il suo momento. Ma certo che esso, ed era la ragione della sua fuga, non avrebbe tardato ancora a lungo!