Periodicamente fioccano sulle riviste italiane inchieste e servizi sui comportamenti sessuali ed affettivi dei connazionali. Il quadro più recente ci mostra l’uomo in crisi, incapace di avviare e gestire felicemente una relazione con una donna di cui teme la raggiunta indipendenza, la capacità di iniziative, la superiorità morale. Non può interpretare il ruolo del latin lover perché sarebbe deriso e sbeffeggiato. Nel lavoro e nella società la sua autorità è messa in discussione. A letto non trova quali esperienze appaganti sostituire all’atto imperniato sulla prestazione. Il re è dunque nudo? Abbattuta la famiglia patriarcale dalle mazzate del femminismo, tolta all’ars amandi la suggestione del corteggiamento, poiché la donna oggi non è più oggetto di conquista, la virilità considerata ormai una concezione arcaica degli attributi maschili, che resta ormai del discendente di Adamo? I valori su cui poggiava il suo primato sono caduti uno dopo l’altro. Padre padrone, macho, rambo, yuppy, seduttore, dongiovanni, sono titoli onorifici che nessun individuo di sesso maschile si sente ormai di attribuirsi come dati gratificanti della propria personalità. In questo contesto che vede la caduta verticale dei simboli della mascolinità, a maggior ragione l’italiano, l’amatore per eccellenza, il rubacuori, il casanova irresistibile, si trova nella delicata situazione di non sapere più come comportarsi, quale maschera erigere, come accostare una donna senza cadere nel ridicolo e nel patetico. Fare il duro, il sentimentale, il tenero, il ruvido, il poeta, l’indifferente? C’è dunque il bisogno di elaborare una nuova antropologia, originali schemi della psicoanalisi, di ridefinire i caratteri che contraddistinguono i generi? Dobbiamo perciò rifondare la cultura eurocentrica e fallocratica, riconoscere il lato femminile presente in ciascuno di noi? Dovremo tutti sottoporci al rito di iniziazione proprio degli ebrei, il Bar Mitzvah, che non insegna come accedere alla virilità, ma in quale modo diventare adulti facendo uso dell’unico strumento dell’intelligenza? E’ qui la possibile risposta al male oscuro dell’uomo moderno, frustrato, dimezzato, impaurito? Riconquistare il primato della mente, vivere serenamente ogni dualismo e superare le proprie contraddizioni, accettare il confronto con l’altra metà del cielo, scoprire i piaceri e le gioie dell’erotismo, della sessualità, dell’amore. Non in contrapposizione con la compagna, ma cercando solidarietà, aiuto, comprensione. Se è caduto il mito del guerriero, se è in frantumi l’immagine dell’uomo forte, non per questo l’Eva del Tremila cerca un Adamo rammollito, imbelle, debole. L’uomo che nei suoi primi anni di vita soltanto nei capezzoli, nelle coccole e nelle carezze materne, trova il gusto della vita, deve poi faticosamente guadagnarsi l’appropriazione della sua identità, sviluppando tutte le particolarità genetiche, i segni distintivi della propria complessità caratteriale. L’eroe teutonico wagneriano che canta: «Voglio tornare nel mondo degli uomini» appartiene ad una cultura in via d’estinzione. L’homo sapiens, invece, il paradiso lo cerca non incontrando la Giulietta scespiriana con la quale e per la quale morire, ma la compagna le cui ansie, i cui problemi, i cui dubbi, sentimenti, emozioni e vagheggiamenti si sente di condividere in una simbiosi e riappacificazione dei generi che è la condicio sine qua non per condurre una esistenza soddisfacente.
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