“La difesa della razza”, si chiama così il reportage-inchiesta condotta da Gad Lerner andato in onda su Rai Tre. Lerner ha incontrato i nostri connazionali svizzeri a Zurigo per sentire le loro storie di emigrazione.
Lo ha incontrato Tiziana Culiersi di Radio Lora Italiana
“La difesa della razza”: di che tipo di programma si tratta?
È un brutto titolo, lo so, perché agli anziani ricorderà La Rivista che nel 1938 nell’Italia fascista di Mussolini preparò le leggi razziali. Sembrava impensabile che un paese, che non aveva mai avuto un problema con la sua piccolissima minoranza ebraica, decidesse d’un colpo che gli ebrei andavano mandati dalle scuole pubbliche, che venissero confiscate molte proprietà agli ebrei, e che perdessero il diritto alla cittadinanza italiana. Il razzismo diventava il manifesto del regime, perché bisognava ricreare la pura razza italiana, che doveva essere una razza superiore. Noi ricordiamo, ottanta anni dopo, che questo è potuto succedere senza grandi reazioni, senza grandi opposizioni. Ci vogliamo chiedere con questo brutto titolo se oggi non corriamo il pericolo, anche se ci sembra incredibile, che succedano di nuovo cose del genere, magari non più nei confronti degli ebrei, ma degli africani, arabi, degli zingari, dei cinesi. Questo è il programma ed è anche il motivo per cui siamo venuti a Zurigo, perché qui sono successe delle cose negli anni del dopoguerra, che a dirle oggi sembrano impensabili. Mi raccontano che negli anni ‘60 a Zurigo c’erano davvero dei cartelli sui ristoranti con scritto che gli italiani non potevano entrare, una cosa che, se avvenisse oggi, arriverebbe un vigile e gli farebbe una multa. Eppure, non è passato poi così tanto tempo…
Il razzismo è un problema radicato nella società italiana o interessa solo una piccola minoranza degli italiani?
Penso che sia una minoranza, ma non piccola. Gli italiani che hanno sviluppato, per varie ragioni, un’idea che questi affamati, questi profughi, che arrivano per bisogno, non sono come noi, che sono di troppo, che ci invadono, ci minacciano, ma, se anche affogano nel mare mediterraneo, non mi dobbiamo sentirci in colpa perché non glielo abbiamo detto noi di fare il viaggio… E poi sotto sotto, anche se non possiamo dircelo, pensiamo che non sono davvero uomini come noi, sono inferiori, selvaggi. È il modo in cui pian piano ci riabituiamo al razzismo.
Perché vuole parlare degli italiani in Svizzera nel suo programma?
Credo che la memoria di chi ha vissuto l’emigrazione oggi ci sia preziosa. Siccome è un problema molto serio e difficile da gestire quello dell’immigrazione in Italia, anche se è sciocco parlare di invasione, le cifre non sono così impressionanti, siamo un paese di 60 milioni di abitanti, tra l’altro con un’età media che è tra le più alte al mondo, quindi il flusso di 100-200’000 immigrati all’anno non è sconvolgente, però non è facile da gestire. Ma per gestirlo bene, imparare dagli italiani che sanno cos’è l’emigrazione credo che ci sia prezioso, quindi la vostra testimonianza credo che possa molto interessare i connazionali che vivono in Italia.